domenica 6 settembre 2020

Babele / 5

In parole (molto) povere

(di Felice Celato)

L’ascolto (casuale, per la verità) di un dibattito “politico” su Radio Radicale (su un tema per me di secondaria imoprtanza) mi ha oggi gettato in una crisi profonda di (irreversibile?) sconforto: mi sembrava di conoscere perfettamente tutte le parole (del resto presumo di conoscere piuttosto bene la nostra lingua); eppure tutti i discorsi che di esse (parole) erano fatti mi risultavano privi di contenuto, frusti esercizi di vuote retoriche (dal Vocabolario Treccani on linefrustoconsunto, logoro… figurato: frasi fruste, logorate dall’uso…prive di originalità, banali), insopportabilmente banali, irritanti nella loro vacuità; tutti rimandanti all’uso di qualche slogan che ci siamo adattati a sopportare e che forse si sono – ahimè –  depositati nella mente di molti.

E allora la memoria mi è andata ad un ottimo libro, qui già segnalato oltre tre anni fa, nel post Letture del 19 maggio 2017 [di Giuseppe Antonelli ( professore di linguistica presso l’Università di Pavia): Volgare eloquenza, Laterza Editori, ebook, 2017, dedicato alla memoria di Tullio De Mauro]; un libro che vale la pena di rileggere (o di leggere ove mai – ma non voglio credere che ciò sia potuto accadere! – qualcuno dei miei lettori avesse ignorato la mia raccomandazione per la lettura).

Così ho passato il pomeriggio domenicale a risfogliarlo, il libro di Antonelli, e l’ho trovato (benedetto lo strumento delle evidenziazioni!) una miniera di puntuali sconforti bi-partisan, temperata da una volontaristica prospettiva: la possibilità di tornare – prima o poi – a dire sì al logos, prima come pensiero e poi come linguaggio. Uhm! Speriamo….

Ma il libro di Antonelli è anche un tesoro di produzioni onomaturgiche che, come sanno i miei lettori, sono una delle mie passioni. Per far venire voglia di prendere in mano il libro di Antonelli (lo ripeto: anche molto gradevole da leggere), eccone tre, coi commenti dell’autore:

(1) Cominciamo con emologismi: parole, frasi, formule che funzionano come emoticon o emoji…. Vent'anni fa, gli emologismi vincenti erano quelli che evocavano una vita felice: basti pensare ai berlusconiani libertà e miracolo. Oggi prevalgono quelli che esprimono paura (attraverso la rassicurazione identitaria: Prima gli italiani!) o addirittura disprezzo (come il nomadare di Meloni, se sei nomade devi nomadare) o veicolano nel modo più diretto possibile la rabbia (il vaffa di Grillo)Un linguaggio elementare, refrattario al ragionamento, che al logos preferisce i loghi. Un linguaggio infantile, che – rinunciando ad interpretare la complessità del mondo – la semplifica in una serie di disegnini stilizzati… destinati non [al]la mente di una bambina….ma [al]la pancia degli italiani. 

(2) DromocraziaLa vorticosa pragmatica dei media, inseguendo l'avvicendarsi dei temi del giorno, costringe – per conquistare il banco – a…una corsa sfrenata a chi arriva per primo sulla notizia. Ma anche [a] un ritmo sempre più frenetico nella creazione di nuove frasi o parole che possano immediatamente fare notizia… Così è la stessa dromocrazia a bruciare rapidamente slogan e modi di dire. E non solo per la forza del suo ritmo forsennato. Ma anche perché – in mancanza di ideologia o almeno di programmi – quegli slogan finiscono col galleggiare sul nulla. Durano poco perché non rimandano a nulla di concreto. Sotto le parole, niente. 

(3) PoliticosoIn principio c'era il politichese, fatto di parole latine oscuri riferimenti colti. Un linguaggio fiorito, infiorettato. Oggi c'è il politicoso: un linguaggio che sta alla politica come il petaloso sta ai fiori…. Un linguaggio elementare, fatto di battute e parole effimere, spesso di strafalcioni e parolacce pierinesche. Un linguaggio fatto di favole per adulti che affascinano chi si lascia affabulare. 

Bene: ammetto di aver “medicato” il mattutino sconforto con una lettura pomeridiana almeno tristemente divertente; ma il dubbio che il popolo seguace [copyright sempre di Antonelli] possa tornare (nei tempi della mia esistenza in vita) a dire di sì al logos prima come pensiero e poi come linguaggio non sono riuscito a fugarlo.

Roma 6 settembre 2020

 

 

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