Il fluido presente
(di Felice Celato)
Anche per un cultore dei numeri e delle quantità, come (giustamente) si dice che io sia (un “datolatra” direbbe qualche mio amico), non è difficile ammettere che i numeri non dicono tutto; per esempio, delle qualità che si manifestano in ogni quantità: un uovo fresco non è come un uovo deposto quindici giorni prima o come un uovo sodo.
Tornavo a rifletterci – chissà perché – giusto oggi, riandando con la mente al decorso del tempo; il passare degli anni mi fa balenare il senso ambiguo dei numeri coi quali lo misuriamo, pensando ai tanti passati e ai rimanenti dei quali non conosciamo, non solo la qualità, ma nemmeno il numero: non tutti gli anni, ancorché composti degli stessi giorni e delle stesse stagioni, sono uguali (o saranno uguali) gli uni agli altri, nel loro peso specifico, come la semplice numerazione del passato li farebbe apparire e come la nostra esperienza ci insegna. E – inevitabilmente – il pensiero di quella grandezza certa (i numeri degli anni trascorsi) si mescola con la mia memoria di quelle qualità; e di quelle presenze che li hanno fatti belli (talora indimenticabili) o di quelle assenze che li hanno fatti brutti (talora indimenticabili): presenze di Dio nei miei pensieri, di affetti familiari immacolati, di amici cari, di salute fisica, di tante domande alle quali si è faticosamente trovata una – magari provvisoria – risposta, di soddisfazioni per il lavoro svolto; e assenze per le dipartite di alcuni fra i più cari, per le serenità perdute, per i travisamenti di cui abbiamo sofferto o per le ingiustizie subite, per le occasioni mancate, per le parole sbagliate o sprecate o anche solo, purtroppo, non dette quando si doveva. E se ciò accade per la memoria di una grandezza certa (i numeri degli anni trascorsi, appunto), ancor più accade per l’attesa di quella grandezza incerta che ci sta davanti e della quale non siamo naturalmente in grado di prevedere né l’estensione né, tantomeno, la qualità.
Per fortuna, per non sgomentarci del tempo, ci soccorre una vertiginosa riflessione di Sant’Agostino (Confessioni, XI) che ci riporta alla centralità del presente ed alla stessa misteriosa fluidità di esso: [….] posso affermare con sicurezza di sapere che, se nulla trascorresse, non esisterebbe il tempo passato, e se nulla sopravvenisse, non esisterebbe il tempo futuro, e se nulla esistesse, non esisterebbe il tempo presente. Questi due tempi, dunque, il passato e il futuro, in che senso esistono, dal momento che il passato non c’è più e il futuro non c’è ancora? Quanto al presente, se fosse sempre presente e non diventasse passato, non sarebbe tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, è tale solo nel momento in cui diventa passato, come possiamo anche di esso dire che esiste, quando la condizione del suo esistere è che non esisterà più, sì che non possiamo dire che si tratta realmente di tempo se non nella misura in cui tende al non essere?
Si potrà dire che tali elaborazioni mentali non servono a fugare l’ansia che il tempo produce; se non fosse che esse ci rimandano al Silenzioso Interlocutore del santo filosofo, al Padre Eterno nel grembo del quale è nato il flusso del tempo; sul quale scorrono incerte le nostre fragili barche.
Roma 5 gennaio 2020
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