Sliding
doors
(di
Felice Celato)
In
una calda estate di mezzo secolo fa (1965, un’estate meno calda della presente)
la mia famiglia si è trasferita a Roma.
Complice
la vita professionale di mio padre, le porte automatiche della mia esistenza si
sono chiuse sulla tranquilla vita ordinaria di provincia e si sono aperte su
quella tumultuosa di una Roma meno inospitale della attuale ma tuttavia già
enormemente più complicata di quella cittadina delle Marche dove ero
cresciuto, avevo studiato per buona parte del mio curriculum scolastico e coltivato amicizie (in piccola misura
tuttora conservate). Nasceva per me un’esperienza tutta nuova, affrontata con
l’entusiasmo di un sedicenne e sviluppatasi poi, a Roma, per 50 anni di studio, di
lavoro e di famiglia. Ho avuto nuovi compagni di fine liceo (con una di questi
mi sono poi anche sposato e “fabbricato” due figli dei quali sono fiero come se
fossero il vero capolavoro della mia esistenza) e poi sconosciuti colleghi di
università, ho incontrato persone preziose per la mia formazione intellettuale
e morale, e conosciuto, per lavoro, tanta gente nuova, uomini normali, pomposi
farabutti e splendidi gentiluomini, girato il mondo, vissuto molte esperienze e
fatto numerose amicizie fra le quali ho selezionato con cura quelle (poche e
molto care) destinate ormai ad accompagnarmi nella vecchiaia.
Ci
sarebbe da riflettere, laicamente, sulla sconvolgente casualità delle
connessioni fra tanti eventi, piccoli e grandi; ricordo – solo per fare un
esempio – che appena arrivato a Roma andai ad informarmi dal parroco (sì, mi
sono portato dietro dalla provincia anche questi riferimenti!) in quale liceo
classico si iscrivevano i suoi giovani parrocchiani e, sulla base di una
semplice alternativa, ho scelto un liceo invece di un altro, sicuramente più
per il nome che per la vicinanza. Da questa scelta banale sono poi dipesi, in una
sequenza impressionante di crocevia, tanti fatti centrali della mia esistenza
(moglie e, quindi, figli, professione, lavori), tanto che spesso mi sorprendo a
domandarmi se veramente quella semplice scelta – come ogni altra singola scelta
apparentemente casuale – sia stata autenticamente tale o se invece esistesse da qualche parte un
progetto a me sconosciuto (qui siamo già usciti dall’angusto perimetro laico!)
del quale pure ero chiamato a governare liberamente gli accadimenti. Un progetto
di bene – per fortuna posso dirlo, non ostante tutto – che, proprio perché
sconosciuto e impenetrabile, non ho mai sentito come un vincolo alla mia
libertà, che mi è parsa sempre massima, secondo lo spirito con cui sono stato educato
dai miei genitori.
Per
chi solo sospetta, dietro la sua propria storia, il progetto di un Autore
(come, credo, c’è stato un Autore a disegnare gli intrecci della mia), vale la
pena di rileggere uno splendido Salmo (il n.139) che di questo Autore riconosce
le vie impenetrabili:
Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando
mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando
cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla
lingua e tu, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano.
Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di
mia madre.
Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel
segreto, intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel
tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne
esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro
numero, o Dio; se li conto sono più della sabbia, se li credo
finiti, con te sono ancora.
Roma, 24 luglio 2015
mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, mi scruti quando
cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie; la mia parola non è ancora sulla
lingua e tu, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano.
Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di
mia madre.
Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel
segreto, intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel
tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne
esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro
numero, o Dio; se li conto sono più della sabbia, se li credo
finiti, con te sono ancora.
Roma, 24 luglio 2015
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