Demolatria, democrazia
e demofobia
(di Felice Celato)
Che la vicenda Greca sia lungi dall'essere conclusa, lo dicevamo già
qualche giorno fa; e i fatti del weekend me
lo confermano con chiarezza, non ostante la loro apparente conclusività.
Eppure la storia è così ricca di materiale didattico (per i Greci,
per noi e per l’Europa) che viene difficile non affondarvi le mani, magari -
per ora - limitandoci agli insegnamenti più generali. E fra questi ce n'è uno
che mi pare veramente perenne: i popoli pagano sempre, e fino all'ultimo
centesimo, la colpa di essersi scelti dei capi sbagliati.
Ben lungi dall'essere un demolatra,
sono però un convinto e rassegnato democratico, nel senso che non posso
esimermi dal riconoscere che in tanti secoli di storia ( e di riflessione)
l'uomo non è stato in grado di concepire
un sistema di governo meno pericoloso della democrazia, che pure lo è,
intrinsecamente pericolosa ( da questo punto di vista mi sento piuttosto
un democratico con tendenze demofobiche).
Questo curioso abuso della
statistica, come diceva Borges, ha comunque i suoi momenti topici, i punti
drammatici in cui si gioca l'intera architettura del sistema, quando, cioè, il demos sceglie i suoi capi. Lì, un errore
può diventare fatale, direi tragico come insegnano, solo nell'ultimo secolo, le
storie dei tedeschi, degli italiani, dei palestinesi, degli iraniani....e dei
Greci; e il conto da pagare, in caso di errore, è spesso ben più salato di ogni
anche negativa aspettativa.
Scegliere un capo non è, come credono di "pensare" i demolatri di casa nostra, (solo) la scelta di un programma, cioè di
fatti (magari normativi) da mettere in fila pedissequamente per raggiungere il
fine della (relativa) felicità politica. I programmi politici infatti (cui
spesso si tributa un'adorazione meta-fattuale), quando non sono parole a vuoto
(il che accade spessissimo), oltre ad essere per natura tecnicamente complessi,
valgono in assenza di comportamenti
altrui in conflitto con i programmi stessi: per esempio, poteva avere Syriza
chiesto il voto sulla base del programma di cancellazione del debito e
della preservazione dei depositi dei Greci; ma i creditori (e fors’anche il
buonsenso) potevano bene non essere d'accordo. E allora il capo che fa? Ritorna
dal popolo, come se fosse un bamboccio mero veicolatore di aspettative altrui?
O mette in campo la sua leadership democratica
assumendosi la responsabilità di adattare il programma (avventatamente) promesso
alle circostanze di fatto che ne limitano o addirittura ne escludono il
conseguimento?
Scegliere un capo è – invece e secondo me – valutare, più che semplicemente un programma
(più o meno vago, più o meno compreso, più o meno perseguibile in concreto), la
rispondenza delle sue idee e del suo profilo umano, etico e professionale alle
esigenze chi si ritengono prevalenti per la società che dovrebbe governare. È, per così dire, una scelta umanistica, una scelta che postula saggezza più che
competenza tecnica; una scelta difficile perciò, per la quale però è più facile
presumere (salvo prova contraria) la
sussistenza, nel demos, di criteri di giudizio, che non su temi come,
ad esempio, la permanenza nell'euro o altri di analoga complessità.
Si dirà che la mia è una concezione antiquata, forse romantica,
della democrazia, forse addirittura incompatibile con l’infrastruttura
mediatica che governa ormai il mondo, somministrando quotidiane pillole di
“arte del governo” con messaggi di 140 caratteri.
E forse è vero. Pazienza! In
questo sta la vena rassegnata delle mie convinzioni democratiche.
Roma, 14 luglio 2015 (226° anniversario della presa della Bastiglia)
È noto a tutti i lettori di questo blog che non sono un politologo,
e perciò le reprimende di chi ne sa più di me sono da mettere in programma.
Come, invece, esperto di cose economiche e amante dei numeri mi permetto di
segnalare un articolo sulla vicenda Greca che, mi pare, faccia chiarezza su
punti sollevati da molti demolatri e mistificatori di casa nostra:
Giavazzi e Alesina sul Corriere della
Sera di oggi : Ideologie e numeri.
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