Il Regno
(di Felice Celato)
Ho letto non senza qualche fatica (un po’per il periodo, un po’ per
il caldo e, soprattutto, per la lunghezza del testo) uno strano libro che è
impossibile attribuire ad un genere: non è un romanzo, anche se le capacità narrative
dell'autore contano molto; non è nemmeno
un saggio anche se è evidente che l'autore ha molto pensato e anche studiato
quello che scrive; è in parte autobiografico anche se in fondo gli spunti
autobiografici sono relativamente poco vasti; men che meno è un libro di
religione (l'autore è esplicitamente non credente) anche se, in fondo, i
protagonisti sono l'evangelista Luca e l'apostolo Paolo.
Il Regno di Emmanuel Carrère (Adelphi, 2015) è in realtà un po’ di tutto ciò (in questo sta
la sua originalità) senza essere precisamente nulla di tutto ciò: in estrema
sintesi, partendo dagli Atti degli Apostoli, Carrère ripercorre la storia della
fatica compositiva dell'evangelista Luca, con sensibilità di libero sceneggiatore
non ostante una certo dichiarato scrupolo di fedeltà alle sue fonti (soprattutto
Atti e, in misura meno estesa, terzo
Vangelo).
La ricostruzione storico-letteraria dei due testi Lucani costituisce
la parte preponderante delle oltre 420 dense pagine: in essa Carrère fa largo
uso dell’invenzione narrativa per coprire gli inevitabili buchi della storia
della composizione dei due testi; e lo fa con abilità narrativa e con notevole
acume. L’esperimento (la ri-narrazione o ri-elaborazione in forma letteraria di
testi sacri) non è nuovo; mi vengono in mente, solo fra i più recenti, alcuni
libri che credo di aver già segnalato qui: Il
Vangelo secondo Pilato di Eric Emmanuel Schmitt (ottimo), L’apostolo e Il nazareno di Sholem Asch (entrambi straordinari), Non dirlo di Sandro Veronesi (buono). E
l’esercizio di Carrère, da questo punto di vista, si pone senz’altro, per me,
nella stessa “fascia qualitativa”. Ad esso Carrère aggiunge (e questa è la
parte autobiografica del racconto, la parte iniziale e quella finale,
quantitativamente meno estese ma sempre ri-emergenti) il contrappunto del suo
dichiarato (e forse sofferto) scetticismo di agnostico con un lontano e breve
periodo fedele; e lo fa non senza qualche crudezza dissacrante ma direi sempre
con sostanziale rispetto e anche con intelligenza. In fondo, del resto, le sue macerazioni
ripercorrono meandri della mente non estranei nemmeno ad un credente che non
abbia rinunciato a porsi domande.
Nel suo complesso, dunque, il libro appare un esperimento felice,
ancorché spesso viziato da un certo narcisismo del quale, del resto, l’autore
sembra conscio e, talora, compiaciuto.
Roma, 15 luglio 2015
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