mercoledì 15 luglio 2015

Letture

Il Regno
(di Felice Celato)
Ho letto non senza qualche fatica (un po’per il periodo, un po’ per il caldo e, soprattutto, per la lunghezza del testo) uno strano libro che è impossibile attribuire ad un genere: non è un romanzo, anche se le capacità narrative dell'autore  contano molto; non è nemmeno un saggio anche se è evidente che l'autore ha molto pensato e anche studiato quello che scrive; è in parte autobiografico anche se in fondo gli spunti autobiografici sono relativamente poco vasti; men che meno è un libro di religione (l'autore è esplicitamente non credente) anche se, in fondo, i protagonisti sono l'evangelista Luca e l'apostolo Paolo.
Il Regno di Emmanuel Carrère (Adelphi, 2015)  è in realtà un po’ di tutto ciò (in questo sta la sua originalità) senza essere precisamente nulla di tutto ciò: in estrema sintesi, partendo dagli Atti degli Apostoli, Carrère ripercorre la storia della fatica compositiva dell'evangelista Luca, con sensibilità di libero sceneggiatore non ostante una certo dichiarato scrupolo di fedeltà alle sue fonti (soprattutto Atti e, in misura meno estesa,  terzo Vangelo).
La ricostruzione storico-letteraria dei due testi Lucani costituisce la parte preponderante delle oltre 420 dense pagine: in essa Carrère fa largo uso dell’invenzione narrativa per coprire gli inevitabili buchi della storia della composizione dei due testi; e lo fa con abilità narrativa e con notevole acume. L’esperimento (la ri-narrazione o ri-elaborazione in forma letteraria di testi sacri) non è nuovo; mi vengono in mente, solo fra i più recenti, alcuni libri che credo di aver già segnalato qui: Il Vangelo secondo Pilato di Eric Emmanuel Schmitt (ottimo), L’apostolo e Il nazareno di Sholem Asch (entrambi straordinari), Non dirlo di Sandro Veronesi (buono). E l’esercizio di Carrère, da questo punto di vista, si pone senz’altro, per me, nella stessa “fascia qualitativa”. Ad esso Carrère aggiunge (e questa è la parte autobiografica del racconto, la parte iniziale e quella finale, quantitativamente meno estese ma sempre ri-emergenti) il contrappunto del suo dichiarato (e forse sofferto) scetticismo di agnostico con un lontano e breve periodo fedele; e lo fa non senza qualche crudezza dissacrante ma direi sempre con sostanziale rispetto e anche con intelligenza. In fondo, del resto, le sue macerazioni ripercorrono meandri della mente non estranei nemmeno ad un credente che non abbia rinunciato a porsi domande.
Nel suo complesso, dunque, il libro appare un esperimento felice, ancorché spesso viziato da un certo narcisismo del quale, del resto, l’autore sembra conscio e, talora, compiaciuto.

Roma, 15 luglio 2015

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