Ombre sull'Hudson
(di Felice Celato)
Lo dico subito: Ombre
sull'Hudson (il romanzo “americano”di Isaac Singer, che ho appena finito di
rileggere a distanza di nove anni dalla prima lettura, TEA editore) è un libro
impegnativo. Non solo perché si compone di 600 pagine, fitte fitte e dense di
intrecci esistenziali talora paradossali, qua e là vagamente comici; ma
soprattutto perché l' umanità che si agita sotto la penna pietosa di Singer rimugina soffertamente temi
complessi e profondi, di valore universale e solo in parte radicati in tematiche
squisitamente ebraiche. Così i ricorrenti tormenti sulla "natura"
dell'ebraismo ("senza Dio non ci
sono ebrei" dice uno dei protagonisti, il più macerato),
sull'assimilazionismo o sulla valutazione "religiosa" dell'Olocausto,
sfociano naturalmente in più vaste tematiche, starei per dire di portata
universale, come il problema del male o quello dell'attrito fra valori
religiosi e mondo "secolarizzato", facendo del libro, appunto, una
lettura impegnativa; anzi, direi che, se Isaac Singer non fosse lo straordinario
narratore che conosciamo, il romanzo probabilmente soffocherebbe sotto lo
spessore del libro!
L'ambientazione, come dice il titolo stesso, è americana,
anzi Newyorkese e, ancora più specificamente, ebraico-Newyorkese; il periodo
narrato è quello del primissimo secondo dopoguerra (anni 1947-48, direi); la
pubblicazione è invece del 1957/58, a puntate, in yiddish, su un giornale
pubblicato a New York (The forward).
I personaggi sono molti
ed intensi (le ombre umane che vagano intorno all’Hudson) ma ruotano tutti
attorno alla figura di Boris (già Borukh) Makaver, un abile uomo d'affari
fuggito negli Usa dalla Polonia e divenuto ben presto un personaggio di spicco
nella locale comunità ebraica, un punto di riferimento per l'attaccamento ai
valori morali e religiosi della sua matrice culturale. Boris, da questo punto
di vista è l'omologo americano di un altro personaggio singeriano, il polacco Calman Jacoby de La fortezza (grandissimo libro!): vive ed opera con successo nel
mondo ma ne teme l'azione corrosiva, ne rifugge i comportamenti e le logiche
secolarizzate, anzi, nel suo ambito sociale, vi si oppone con ogni mezzo anche
a prezzo di mettere in crisi il rapporto più caro, quello con la figlia Anna,
ormai divenuta un'americana vigorosa, agnostica, libera e spregiudicata nei
suoi affetti quanto affezionata al vecchio padre del quale eredita anche
l'abilità commerciale. Una buona parte delle vicende ha proprio per
protagonista questa Anna e il suo amore tormentato per un altro personaggio
"forte" del libro, Herz Dovid Grein, un professore laico e libertino,
scosso da tremendi sensi di colpa che lo spingono alla più radicale
conversione, peraltro trainata dal valore pedagogico della religione (“siccome i filatteri tengono legata la tigre
che ho dentro di me, non posso fare altro che mettermeli”) piuttosto che
dai suoi contenuti teologici e morali.
Insomma, come dicevo, il tema di
fondo, come ne La fortezza, è quello dell’assedio del mondo alla fortezza della
fedeltà alla religione, un assedio tanto più intenso quanto più il contesto
vitale è quello del “nuovo mondo” dove i
valori dell’ebraismo (ma più in generale, direi, di ogni religione) sono
dispersi all’interno di una società profondamente secolarizzata.
Come si vede, un tema che travalica l’ambiente
ebraico in cui si dipanano le vicende e che mette in discussione molti temi
presenti nell’anima di ogni uomo cosciente della sua dimensione verticale;
ancora una volta, in fondo, la riprova della radice ebraica che caratterizza la
civiltà occidentale che definiamo cristiana (con buona pace di chi non ha
voluto riconoscere i fondamenti giudaico-cristiani della nostra cultura).
Roma, 22 gennaio 2014.
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