Saturi di “satura”?
(di
Felice Celato)
Un’altra
volta mi è capitato di ricordare questa citazione (“Satura tota nostra est”) con la quale i latini rivendicavano
appunto la latinità della satira come genere letterario. Lo facevano forse non
del tutto a ragione, perché anche della satira esistevano precedenti nella
letteratura greca, ma, tant’è, così si studiava al liceo fin dalle prime pagine
del manuale di letteratura latina.
Non
si può negare che gli italiani abbiano ereditato con entusiasmo questa
manifestazione dell’”italum acetum”
dei loro antenati; le nostre televisioni e, se esistono ancora, i nostri cabaret, hanno da sempre tributato un
largo successo agli sberleffi ridanciani verso il potere: da Petrolini a Grillo
(quando faceva il comico, ma anche dopo), da Totò a Guzzanti e Crozza, da Noschese a Pippo
Franco, da Lionello a Geppi Cucciari, ognuno col suo maggiore o minore garbo,
molti standing comedians (per dirla
con gli americani) ci hanno strappato nel tempo e tuttora, sempre più raramente,
ci strappano qualche risata, che tempera – magari – le angosce del presente.
E,
del resto, gli italiani, anche senza essere dei comici, hanno sempre amato
raccontare più o meno salaci storielle sui potenti dei tempi; e anche ridere
dei calci dell’asino, talora senza alcuna dignità e rispetto per le loro stesse precedenti adulazioni degli stessi potenti.
Ma,
mi domando, a rischio di suscitare il ricorso a sussiegose difese della libertà
di satira, è sempre socialmente benefico l’aceto della satira? E’ sempre solo
temperamento dello scettro dei regnatori il corrosivo sfaldamento di ogni, di
ogni, credibilità di chi governa, a qualunque parte appartenga e per il solo
fatto che governa? Se questa corrosione, talora sgangherata (e volgare, ma
lasciamo perdere!), arriva alla radice di quel minimo di fiducia collettiva che
pure occorre porre a base del tessuto connettivo di un paese, cosa rischia di
restare nelle mani degli Italiani se non un senso di disperata e comica inanità
di ogni potere, se non un senso di insuperabile sfarinamento di ogni via di
uscita? Il sarcasmo corrosivo rischia di distruggere la volontà di costruire,
sotto una valanga di scetticismo?
Non
ho una risposta equilibrata che tenga anche conto della difficoltà della
materia e della innegabile esigenza di
non sottoporre ad ancora più dannose censure l’espressione di chi, in fondo,
sembra cercare solo di farci ridere (anche se spesso l’apparenza inganna e
l’intento non è così “innocente”).
Ma
mi domando, proprio veramente mi domando, non vi sembra che anche dal lato
della satira ci sia – come, secondo me e non solo, c’è dal lato dei cosiddetti talk shows – un rapporto di paternità
fra queste ormai ordinarie, quasi quotidiane, forme di comunicazione e i diversi “mostri”
che la politica, di tanto in tanto, sforna nel nostro Paese, adattatosi
all’urlo e al lazzo? Tutto può liquidarsi con una risata, anche quando questa
diventa sempre più forzata, quasi automatica come sembra quella dei molti (veri
o falsi) spettatori ridenti e plaudenti ripresi attorno al comico di turno? L’ecologia
della convivenza esige qualche limite anche al sarcasmo? E se si, come farlo
valere? Basta il solo telecomando, strumento di reazione individuale?
Non
so; veramente non so.
Forse
il problema sta tutto nel fatto che, se anche la satira “tota nostra est”, la misura ci è sempre mancata. E la serietà delle situazioni spesso ci sfugge. Ma queste cose ce le siamo già dette.
Roma
3 maggio 2013
Nessun commento:
Posta un commento