I numeri di Babele
(di
Felice Celato)
La
lunghezza, la larghezza, l’altezza, la profondità, la capacità, il peso, tutto
si misura (o si identifica) coi numeri: il tempo (i giorni, i mesi, gli anni, i secoli e i
millenni), gli abitanti della terra e delle sue articolazioni (villaggi, città,
regioni, nazioni, continenti), la velocità, la frequenza, le probabilità, le
ricchezze, i debiti e i crediti, i voti, le pagine dei libri, le pulsazioni del
cuore e le schiere degli Angeli, i passi del Vangelo, le terzine di Dante.
Tutto è numero, diceva Pitagora. Se non
avessimo i numeri, con la loro capacità di distinguere e di “pesare”, saremmo
persi nel buio dell’indistinto, del non misurabile, del misterioso.
Eppure,
in Italia, in questo Paese che sta
divorando se stesso (l’espressione non è mia, ma di un mio amico, colto e
raffinato uomo d’affari, con cui ho lungamente conversato oggi a Milano),
abbiamo deciso, non di farne a meno (per ora non ci siamo riusciti, però forse
tenteremo!), ma di svuotarli di significato piegandoli alle nostre esigenze di confusione, alle nostre
retoriche ciarlatane, alle nostre pulsioni auto-distruttive; il tutto perché
nessuno capisca, perché si perda la nozione del tempo e delle quantità,
perché Babele diventi la nostra città.
Ci
pensavo oggi, davanti ad un'ennesima puntata di quello snocciolamento di numeri indistinti che è
diventata la nostra comunicazione: i telegiornali e i nostri giornali (il che è
ancora peggio, perché quando si scrive bisogna ogni tanto fermarsi a temperare
la matita e temperando si può anche pensare) pullulano di dati sulla nostra
economia e sul nostro “disagio sociale”, contraddittori e “allarmanti” o (più raramente purtroppo) “rassicuranti”, a seconda delle intenzioni di chi li maneggia con finta
padronanza, spesso confondendo milioni con miliardi, medie con mediane, percentuali
con altre percentuali riferite a “universi” diversi.
E in
questa furia logoclastica, gettiamo
alla “ggente” chiari segnali
indistinguibili, atti a creare sensazioni indirette – dove non ci sono,
ahimè! dolorosamente, quelle dirette –
sulle quali poi misuriamo, con finto rigore statistico, gli umori e le
convinzioni di massa; sulle quali ultime si orientano o si tentano di orientare
le azioni (vere o, per lo più, simulate) dei nostri politici (altre volte
abbiamo parlato di questo cosiddetto cortocircuito delle opinioni che chiameremo democrazia babelica).
Quando
facevo il mestiere di gestire attività aziendali, decisi di difendermi dalla
babele dei numeri addomesticati (così spesso diffusi anche all’interno delle
sociologie aziendali) stabilendo che tutti i numeri su cui si basava ogni
decisione, da qualunque entità organizzativa provenissero, dovessero passare
attraverso il vaglio (critico) della funzione che era preposta alla misurazione
degli economics dell’azienda; e che
solo su questi, così vagliati, si assumessero le decisioni.
Ebbene,
se fossi un dittatore illuminato (cosa cui – lo ammetto con vergogna – ho
sempre aspirato!), stabilirei un Ministero dei Numeri, l’unico titolato a
fornire, con cadenze periodiche fisse (magari mensili), i numeri alla pubblica
opinione; e naturalmente – perché sempre di un aspirante dittatore stiamo
parlando – proibirei “severamente” la diffusione di ogni altro numero da
chicchessia negli intervalli fra una comunicazione periodica e l’altra da parte
dell’apposito Ministero dei Numeri.
Certo,
lo riconosco, la democrazia babelica potrebbe soffrirne;
ma….magari, chissà, nel lungo periodo…. forse diventerebbe meno babelica e il
dittatore illuminato potrebbe tornare alle sue letture da anziano.
Roma,
22 maggio 2013
PS:
Oh! Naturalmente scherzavo….in molte righe (circa il 20% del testo, direi, tanto per dare un numero)
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