domenica 14 aprile 2013

Il passaggio della primavera


Brutta settimana
(di Felice Celato)
Il passaggio della primavera, come ogni anno, mi deprime, per almeno una settimana: l’età, credo, qui non conti; questo mi è sempre accaduto, anche quando ero più giovane e, magari, avevo meno ragioni di contorno per sentirmi depresso.
Ma quest’anno, le convulsioni del nostro ambiente nazionale, più che deprimermi mi abbattono: non basta la situazione politica, ormai bloccata sulla stupida ripetizione di slogan consunti e orientata sempre più verso una insopportabile frivolezza; non basta la sempre più radicata convinzione che ormai si siano prodotte nel nostro Paese pressoché tutte le trasformazioni che rendono il nostro problema non più politico, e nemmeno più culturale e sociologico (di cui vado parlando da tempo), ma addirittura antropologico, come, sempre da tempo, ho preso a sospettare.
Ora mi è sopraggiunta anche una disarmante evidenza, che è stata messa in chiaro, in questi giorni, da un corposo studio del Centro Studi della Confindustria segnalato ieri su Il Sole 24 ore (sto cercando di procurarmi lo studio nella versione integrale…per farmi del male, direi): non sono sufficientemente abile per riportare qui un grafico che, in qualche modo, fotografa la storia recente e le sue proiezioni sul futuro. Proverò allora a raccontarvi questo grafico, come si può con le parole; dunque, immaginate, messe sugli assi cartesiani, in verticale le percentuali di differenza del nostro PIL pro-capite (un indice economico di benessere individuale) e quello dell’Europa e di quello con gli USA (cioè, in sostanza, quanta ricchezza produce ogni anno ciascun cittadino italiano e di questi aggregati); e, in orizzontale, gli anni dal 1950 ad oggi e, più oltre, fino al 2050-2060. Ebbene: vedrete che nel 1950 il nostro PIL pro-capite era pari all’80% di quello Europeo e al 35% di quello Americano. Eravamo, nel 1950, un Paese povero (in relazione ai contesti considerati nel grafico): la guerra ci aveva distrutto  (aveva distrutto mezza Europa, per la verità) e i nostri padri si arrabattavano per ricostruire il Paese, alcuni di essi emigrando per mantenere le famiglie, altri, i più, per fortuna, dandosi da fare in mezzo alle macerie del nostro dopo-guerra. Negli anni 70-90 la trionfale rincorsa incominciata in quegli anni era finita e, ormai, eravamo fra i più ricchi dell’Europa (ben più ricchi della media) e vicini al 70% del PIL pro-capite Americano.
Alla fine di questi anni in corso (mi fermo al quasi oggi, per non guardare al peggiore domani delle proiezioni!) saremo più o meno dove eravamo nel 1950 rispetto all’Europa e poco sopra dove eravamo, sempre nel 1950, rispetto agli USA! Bruciati i frutti del “miracolo economico”, titola il grafico Il Sole 24 ore (con qualche forzatura, per la verità, perché i dati sono relativi agli altri Europei e agli USA, e non assoluti). Se non siamo di nuovo un Paese povero, siamo comunque un Paese che non solo ha perso lo slancio ma sta, anzi, precipitando velocemente all’indietro, e per di più senza più gli stamina che fluivano nel sangue dei nostri padri!
Mentre guardavo questo grafico, seduto su un divano, sullo schermo televisivo comparivano i volti ormai diventati maschere dei nostri politici vecchi e nuovi e, in sottofondo, correvano le loro parole vuote di significato, dense di formule retoriche faziose ed irresponsabili, le loro parole sulle parole degli altri, in un vano “parlare del parlare” lontano da ogni responsabile senso dell’urgenza vera, nuovi schieramenti elettorali per elezioni che nessuno veramente dice di volere ma per le quali ci si prepara con pulsione meccanica, come in un’eterna rincorsa per una supremazia ormai inutile: il nuovo governo, questo è il senso delle preoccupazioni dei nostri politici, vecchi e nuovi, sarà un inciucio o una larga intesa? Un governicchio o un governissimo o, con chiaro approccio programmatico, un governo di cambiamento? Come lo vogliamo chiamare? Un’idea! Facciamo un sondaggio per trovargli un nome, prima ancora che (forse) nasca!
Mah! Per fortuna che il Vangelo di oggi ci ricorda le reti gettate di nuovo, sulla Sua parola, a destra della barca.
Roma, 14 aprile 2013

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