Brutta settimana
(di
Felice Celato)
Il
passaggio della primavera, come ogni anno, mi deprime, per almeno una
settimana: l’età, credo, qui non conti; questo mi è sempre accaduto, anche
quando ero più giovane e, magari, avevo meno ragioni di contorno per sentirmi
depresso.
Ma
quest’anno, le convulsioni del nostro ambiente nazionale, più che deprimermi mi
abbattono: non basta la situazione politica, ormai bloccata sulla stupida
ripetizione di slogan consunti e
orientata sempre più verso una insopportabile frivolezza; non basta la sempre
più radicata convinzione che ormai si siano prodotte nel nostro Paese pressoché
tutte le trasformazioni che rendono il nostro problema non più politico, e
nemmeno più culturale e sociologico (di cui vado parlando da tempo), ma
addirittura antropologico, come, sempre da tempo, ho preso a sospettare.
Ora
mi è sopraggiunta anche una disarmante evidenza, che è stata messa in chiaro,
in questi giorni, da un corposo studio del Centro Studi della Confindustria
segnalato ieri su Il Sole 24 ore (sto cercando di procurarmi lo studio nella
versione integrale…per farmi del male, direi): non sono sufficientemente abile
per riportare qui un grafico che, in qualche modo, fotografa la storia recente
e le sue proiezioni sul futuro. Proverò allora a raccontarvi questo grafico,
come si può con le parole; dunque, immaginate, messe sugli assi cartesiani, in
verticale le percentuali di differenza del nostro PIL pro-capite (un indice economico di benessere individuale) e quello
dell’Europa e di quello con gli USA (cioè, in sostanza, quanta ricchezza
produce ogni anno ciascun cittadino italiano e di questi aggregati); e, in
orizzontale, gli anni dal 1950 ad oggi e, più oltre, fino al 2050-2060. Ebbene:
vedrete che nel 1950 il nostro PIL pro-capite era pari all’80% di quello
Europeo e al 35% di quello Americano. Eravamo, nel 1950, un Paese povero (in
relazione ai contesti considerati nel grafico): la guerra ci aveva
distrutto (aveva distrutto mezza Europa,
per la verità) e i nostri padri si arrabattavano per ricostruire il Paese,
alcuni di essi emigrando per mantenere le famiglie, altri, i più, per fortuna, dandosi
da fare in mezzo alle macerie del nostro dopo-guerra. Negli anni 70-90 la
trionfale rincorsa incominciata in quegli anni era finita e, ormai, eravamo fra
i più ricchi dell’Europa (ben più ricchi della media) e vicini al 70% del PIL
pro-capite Americano.
Alla
fine di questi anni in corso (mi fermo al quasi oggi, per non guardare al
peggiore domani delle proiezioni!) saremo più o meno dove eravamo nel 1950
rispetto all’Europa e poco sopra dove eravamo, sempre nel 1950, rispetto agli
USA! “Bruciati i frutti del “miracolo
economico”, titola il grafico Il Sole 24 ore (con qualche forzatura, per la
verità, perché i dati sono relativi agli altri Europei e agli USA, e non
assoluti). Se non siamo di nuovo un Paese povero, siamo comunque un Paese che
non solo ha perso lo slancio ma sta, anzi, precipitando velocemente
all’indietro, e per di più senza più gli stamina
che fluivano nel sangue dei nostri padri!
Mentre
guardavo questo grafico, seduto su un divano, sullo schermo televisivo
comparivano i volti ormai diventati maschere dei nostri politici vecchi e nuovi
e, in sottofondo, correvano le loro parole vuote di significato, dense di
formule retoriche faziose ed irresponsabili, le loro parole sulle parole degli
altri, in un vano “parlare del parlare” lontano da ogni responsabile senso
dell’urgenza vera, nuovi schieramenti elettorali per elezioni che nessuno
veramente dice di volere ma per le quali ci si prepara con pulsione meccanica,
come in un’eterna rincorsa per una supremazia ormai inutile: il nuovo governo,
questo è il senso delle preoccupazioni dei nostri politici, vecchi e nuovi,
sarà un inciucio o una larga intesa? Un governicchio o un governissimo o, con
chiaro approccio programmatico, un governo di cambiamento? Come lo vogliamo
chiamare? Un’idea! Facciamo un sondaggio per trovargli un nome, prima ancora
che (forse) nasca!
Mah!
Per fortuna che il Vangelo di oggi ci ricorda le reti gettate di nuovo, sulla
Sua parola, a destra della barca.
Roma,
14 aprile 2013
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