sabato 24 dicembre 2011

Lyssavirus rabies

La rabbia e la cognizione del male


(di Felice Celato)


Il Lyssavirus rabies, insegnano i veterinari, è il virus della rabbia (apprendo che la parola viene dal sanscrito “rabbahas” che vuol dire”fare violenza”), “malattia contagiosa che causa encefalomielite ad esito inesorabilmente mortale in tutti i mammiferi, uomo compreso”. L’Italia, però, dicono sempre i veterinari, dal 1997 è considerata paese indenne.


Mah! Sicuramente i veterinari, nel loro campo, hanno ragione e non c’è da temere dal punto di vista medico; ma io temo che il 2012 conoscerà una nuova epidemia della terribile malattia, nella sua manifestazione più pericolosa, distruttiva e pandemica: quella sociologica.


La situazione in cui per lunghi anni ci siamo crogiolati incoscienti e festosi è esplosa nel 2011 con le conseguenze che tutti sappiamo; le misure tardivamente adottate (ammesso, ma non concesso, che bastino, per entità e natura!) hanno colpito con durezza inattesa, producendo ulcerazioni sociali ed economiche che sarà lento guarire e delle quali sarà difficile lenire il dolore. Bene, anzi male: se fossimo stati meno cialtroni (Devoto Oli: cialtrone, dicesi di “persona volgare e spregevole, priva di serietà e di correttezza nei rapporti umani o che manca di parola negli affari”) non ci saremmo trovati nelle condizioni di dover fare quanto, frettolosamente, siamo stati costretti a fare con asprezza inusitata. Ma tant’è! Ora non ci resta che stringere i denti e guardare con speranza alle nostre risorse interiori, ai nostri stamina,come dicono gli inglesi per riferirsi alla capacità di resistenza, alla fibra, al vigore. E ci sarebbero ragioni, storiche ed umane, per credere che, anche stavolta, gli italiani possano farcela a trarsi dalla melma; se non ci fosse il Lyssavirus rabies (socialis).


Che invece c’è ed è già all’opera. Basta seguire i giornali (anche i più sorvegliati nel linguaggio) o i “dibattiti” sulla fiducia o le prese di posizione dei sindacati o gli yelling show televisivi. Anche i “buoni” politici (alla cui gestione del paese dobbiamo la situazione che ora è in atto) affilano le armi “dialettiche” in vista del posizionamento elettorale, con usurati “argomenti” di sapore radical-islamico (l’articolo 18 “non si tocca”, come una sura del Corano o come uno iota del Vangelo, il solo parlarne “è roba da matti”, la patrimoniale mai! etc. Già, anche le pensioni “ non si toccano”, l’età pensionabile, l’esenzione delle imposte sulla prima casa, i diritti acquisiti, etc., nulla si poteva toccare, prima che lo si dovesse toccare e toccare con mano pesante! E come se quella approvata, anch’essa a grande maggioranza, non sia una patrimoniale, sia pur rateizzata!). Non è bastata, per alcuni nostri politici, la paura del crack, è già dimenticata l’ansia per i (sempre più prossimi) rifinanziamenti del debito pubblico: ora, come dicono i miei amici di sinistra, “occorre tornare a fare politica”,ovvero, come lasciano intendere a destra, gestire “lo stacco delle spina”. Mah! Speriamo bene, anche se i risultati di un certo “fare politica” (dal governo o dall’opposizione) sono davanti agli occhi di tutti e la spina, quando era attaccata, non ha portato energia.


Ma quello che mi preoccupa non sono certo i vuoti proclami, presi in sé e letti alla luce delle mille retromarce (anche nell’ambito della stessa giornata) di cui possiamo anche ridere amaramente (o solo pensare, come fa un mio amico più indulgente di me, che siano la manifestazione di una non ancora superata adolescenza della nostra democrazia). All’origine della mia ansia sta, credo ben più fondatamente, il senso di rabbia rancorosa che serpeggia, anche comprensibilmente ma non per questo saggiamente, nella società ulcerata e che rischia di prendere rapidamente il posto di una diffusa e profonda (per dirla alla Gadda) cognizione del male, del male social-culturale che ci ha corroso per anni. La diffusione di un’idea continuista che “occorra tornare a fare politica” (intendendosi per ciò non decidere nulla e lasciare che il male avanzi, solo accompagnandolo col rumorare sincopato delle dichiarazioni tonitruanti o autoingannatrici ), che chi prende misure forti è l’espressione di poteri forti banco-pluto-cratici e anti-popolari, è un potente incentivo a questo scambio esiziale fra rabbia e cognizione del male, una nuova iniezione di populismo incosciente: nulla, di questa nostra politica, dovrà e potrà più essere come prima, dopo questa tempesta (che non è ancora cessata); se questa occasione di verità e di presa di coscienza che stiamo dolorosamente vivendo sarà anch’essa persa, se alla ragionata forza del comprendere dove abbiamo sbagliato (come paese e come cittadini) verrà sostituita la festosa o falsamente concettosa riproposizione dei vecchi stilemi politichesi, allora saranno guai e guai anche più seri di quelli ,seri, in cui già ci troviamo.


Ci pensino bene, i politici per bene: occorre isolare i portatori insani di Lyssavirus rabies: non ci serve la rabbia, anche se ci sorregge nei sondaggi, ci serve la comprensione del male e la sua cura tenace, ragionata e pietosa ( sì, pietosa!). E ci servono da subito i toni adeguati alla fase di cura (e questo vale anche per i politici per bene).


Jeffrey D. Sachs, eminente professore di economia e direttore dell’Earth Institute presso la Columbia University, commemorando Vaclav Havel (di cui era stato amico) scrive (Ilsole24ore.it del 22 dicembre): “Il potere di dire la verità, quell’anno (1989) creò un abbagliante senso di possibilità”.


Ebbene, in questo cruciale momento della nostra storia recente, sappiano i nostri migliori politici riscoprire il gusto di dire la verità che per tanti anni è stata negata, nascosta, adulterata: l’Italia ha vissuto per anni al di sopra delle sue possibilità, finanziando l’insensatezza dei suoi cittadini (o anche solo dei suoi politici) con svalutazioni e debito pubblico (anche la tanto sbandierata solidità patrimoniale delle famiglie e, quando c’è, il loro apparente benessere hanno lì le loro radici); ora ricominciamo da capo, non “a fare (la vecchia) politica” ma a fare sacrifici per i nostri figli, come hanno fatto i nostri genitori all’indomani della guerra perduta.


E sappiano farlo, i politici, rinunciando a slogan vacui e pomposi, finti sdegni e focosi quanto effimeri slanci retorici: la rabbia,“malattia contagiosa ad esito inesorabilmente mortale in tutti i mammiferi, uomo compreso”, non è fonte di verità ma di confusione delle menti e dei sentimenti; l’unico modo per combatterla è la amorosa (sì, amorosa!) medicazione delle morsicature e l’ immediata somministrazione del siero (della verità).






24 Dicembre 2011, Vigilia di Natale


PS: leggendo, in questi giorni che hanno preceduto il Natale, alcuni indirizzi augurali (quello di Benedetto XVI ai cardinali della Curia, quello del card. Martini ai lettori del Corriere, ed altri) mi sono convinto – e per questo le ho sottolineate – che in alcune parole (pietosa e amorosa) che ho usato istintivamente e senza merito alcuno, può stare il senso di ciò di cui abbiamo più bisogno.









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