domenica 4 dicembre 2011

En attendant Godot

"Lo scheletro contadino"
(di Felice Celato)

Aspettiamo trepidanti le misure del Governo, sapendo che dovranno essere dure, sperando che riescano ad essere eque (chi più ha più paghi), confidando che siano risolutive (come lo sarebbero misure patrimoniali per problemi patrimoniali), temendo che possano essere (involontariamente) depressive,auspicando che comunque vengano varate subito. Nel frattempo osserviamo, gelidi, forse spietati, il travaglio dei partiti (che non sanno più che cosa dire) e dei sindacati (che scelgono di dire vacue ovvietà, del tipo: contrasteremo le misure sbagliate, e quindi, aggiungerei a complemento “logico”, siamo favorevoli a quelle giuste!). Buona parte di ciò  che doveva accadere, sta accadendo; vedremo nelle prossime settimane come reagirà il Paese all’operazione verità che i partiti, nei troppi anni incoscienti e folli, non hanno saputo fare e che le circostanze hanno delegato a questa pallida Europa.


Nel frattempo, è arrivata la consueta boccata di ossigeno intellettuale e di passione civile che, come ogni anno, ci viene dall’annuale Rapporto del Censis (il 45°, quest’anno). A parte la congerie di dati molto interessanti (alcuni dei quali, se attentamente studiati, eviterebbero a molti di sparare pericolose panzane) sul modo di essere e di evolvere di questa nostra confusa società, ci sono, come sempre da leggere integralmente, le Considerazioni Generali nelle quali si coglie la colta mano sensibile, tagliente e pietosa, di Giuseppe De Rita.


Provo a sintetizzarne il senso, in larga parte usando (in corsivo, le  sottolineature sono mie) alcuni dei passi che mi sono sembrati più significativi:


Partim dolore, partim verecundia, cioè un po’ con dolore e un po’ con vergogna, abbiamo vissuto in questi ultimi mesi una retrocessione evidente della nostra immagine nazionale dovuta alla caduta del nostro peso economico e politico nelle vicende internazionali ed europee. Abbiamo scontato certo una triplice e combinata insipienza: aver accumulato per decenni un abnorme debito pubblico, che non ci permette più autonomia di sistema; esserci fatti trovare politicamente impreparati a un attacco speculativo che vedeva nella finanza pubblica italiana l’anello debole dell’incompiuto sistema europeo; aver dimostrato per mesi e mesi confusione e impotenza nelle mosse di governo volte alla difesa e al rilancio della nostra economia.
…….
Il ritorno a un obbligo di credibilità internazionale che è in corso nelle ultime settimane non ci esime dal corrispettivo obbligo di guardarci dentro con severità, per capire le coordinate elementari dei problemi che abbiamo di fronte, seguendo l’antica saggezza chassidica: “le parole fondamentali sono quelle tra l’uomo e se stesso”.
…….
In questo complessivo affanno, non ci aiuta l’isolamento. Una società che aveva realizzato la sua ricostruzione post-bellica, il suo boom economico, la sua industrializzazione (di massa come di qualità) nell’alveo di una riconquistata appartenenza occidentale, di un primigenio protagonismo europeista e di una presenza planetaria del suo made in Italy, sembra oggi fuori dai grandi processi internazionali; al massimo, li rincorre faticosamente. Non ha più la potenza da socio fondatore della costruzione europea; non ha la forza di stare con pienezza di responsabilità nelle alleanze occidentali; non è partecipe di quanto sta avvenendo nell’Africa settentrionale, praticamente alle porte di casa; non ha rapporti sistemici con i rampanti free rider dell’economia mondiale (al massimo, li hanno i tanti imprenditori medi e piccoli presenti in quelle aree lontane); sta perdendo l’occasione di essere presente sull’asse di penetrazione verso l’Europa sudorientale (con il ritardo sulla Lione-Torino e con le difficoltà di fare del Nord-Est la piattaforma logistica di tale penetrazione).
……..
Per capire cosa ci sia sotto il carattere fragile, isolato ed eterodiretto della nostra attuale società occorre, con severità verso se stessi, capire perché i nostri più antichi punti di forza ‒ la collettiva capacità di continuo adattamento e i processi spontanei di autoregolazione (nel campo dei consumi come in quello del welfare, come in quello delle strategie d’impresa) ‒ non riescano più a funzionare come nel passato. E, ancora, realismo vuole che si prenda coscienza che l’adattamento e l’autoregolazione faticano a esercitarsi perché si è accentuata la dispersione delle idee, delle decisioni e del linguaggio:
- delle idee, perché……….;
- delle decisioni, perché……..;
- del linguaggio, perché…..;

È facile capire che diventa fatale, con queste dispersioni, il declino del dibattito socio-politico ………
Sembra quasi che esso segua una logica del “parlare per parlare” o del “parlare del parlare” che rende quasi inconsistente il pensiero collettivo: potrebbe ormai essere definito “pensiero povero”, non meritando neppure la vecchia e criticata, ma non indecorosa, connotazione di “pensiero debole”.
…….
Non è possibile pensare che di fronte a questa regressione del nostro sviluppo sociale, economico e civile si possa restare neghittosi e immobili, rimpiangendo lo sviluppo che fu e dubitando che “in noi di cari inganni, non che la speme, il desiderio è spento”.
……..
la crisi dura e un po’ scarnificante degli ultimi anni sta rimettendo in giuoco un carattere fondativo (anch’esso soggettivistico e antropologico) del solido “scheletro contadino”, che resta il riferimento quasi occulto delle nostre vicende di evoluzione sociale, anche se reso occulto e dimenticato dalle bolle di vacuità e banalità con cui abbiamo importato l’agiatezza e la modernità occidentali.
……
È quindi lo scheletro contadino, forse, la metafora più coerente con la nostra attuale innegabile fatica di vivere, di adattarsi alla crisi, di cercare di andare oltre la brutta stagione.
…….
Di qui, le cinque caratteristiche di questo scheletro contadino che De Rita intravvede come via d’uscita dalla presente condizione di “soli ma senza solitudine” e che individua ne: (1) il primato dell’economia reale; (2) la lunga durata; (3)l’articolazione socio-economica interna; (4) la relazionalità; (5) la rappresentanza, sociale e politica.


Dunque, se si vuole (e De Rita se ne è dichiarato incurante), il mood delle Considerazioni Generali si colora di terragno conservatorismo: La riproposizione potrà apparire un manifesto di orgoglioso conservatorismo, ma ha un sottile vantaggio: quello di esplicitare l’ipotesi che, se è giusto che uomini ragionevoli, quando serve, mettano ordine alla realtà, è anche accettabile qualche volta che sia la realtà a mettere ordine. In questo vale ancora San Tommaso: non ratio est mensura rerum, sed potius e converso.


Bene, fin qui la sintesi che solo nella parte in corsivo rende anche la colta piacevolezza della prosa.
In questi giorni di attesa, ci sia utile riflettere, con pietà ma senza risparmiarci lucidità dell’analisi. Se la ricarica delle nostre spente batterie deve passare per lo “scheletro contadino”, ben venga anche il terragno conservatorismo di De Rita, dopo tanti anni di altrui luccicanti banalità.


3 dicembre 2011

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