sabato 30 gennaio 2021

Letture

Ossessioni identitarie

(di Felice Celato)

Chiunque è tanto stolto da credere il suo paese nativo il più bello che esista al mondo, costui preferisce anche, più di ogni altro, il proprio volgare, cioè la propria lingua materna, e, per conseguenza, crede che sia stato proprio quello usato da Adamo. Ma io, che ho per patria il mondo come i pesci l'acqua, per quanto abbia bevuto in Arno prima ancora di mettere i denti e ami Firenze al punto che, avendola troppo amata, soffro ingiustamente l'esilio, io debbo soppesare il giudizio più con la ragione che col sentimento. 

E sebbene per il mio piacere e per l' appagamento dei miei sensi non ci sia un luogo più bello di Firenze, avendo letto e riletto le pagine dei libri dei poeti e degli altri scrittori, là dove il mondo è descritto nella sua complessità e nelle sue parti, e ripetutamente pensato fra me e me le differenti varietà dei luoghi della terra e la loro posizione rispetto ai poli e all'equatore, mi sono convinto e ora con sicurezza sostengo che sono molte le regioni e le città più nobili e più belle della Toscana e di Firenze, di cui sono nativo e cittadino, e quindi che ci sono molte stirpi e genti che usano una lingua più piacevole e più funzionale di quella degli italiani. 

Ho trovato questa splendida citazione Dantesca (dal De vulgari eloquentia, 6,2, traduzione dal latino di Vittorio Coletti) in esergo al libro che mi appresto a segnalare all’attenzione dei lettori; e devo ammettere che l’ho subito sentita molto… solidale con i fastidi che mi suscitano tante nostre (voglio dire di noi Italiani) autopercezioni di esaltante specialità, buone – forse – per annegare i profondi sensi di colpa che dovremmo nutrire sul nostro presente.

Torno però subito al libro, per non lasciarmi prendere da troppe orticarie: si tratta di Hai sbagliato foresta – Il furore dell’identità (Il Mulino, 2020), di Maurizio Bettini, del quale avevo già letto il piccolo volume Homo sum, Essere “umani” nel mondo antico (Einaudi, 2019), in qualche modo complementare a quello di cui ora parliamo. Si tratta di un’opera sospesa fra l’antropologia e la filologia (l’autore è professore di Filologia classica all’Università di Siena) e interamente dedicata alle radici, agli sviluppi, alle parole, alle espressioni e alle ossessioni identitarie, specialmente riferite al contesto sociologico italiano 

Il libro ha l’ideale dimensione del saggio (poco più di 150 pagine, merito non secondario!), lo stile piano ed argomentativo, non privo di penetranti sottolineature sarcastiche che contribuiscono a rendere la lettura raffinata e piacevole allo stesso tempo.

Come sanno i miei ventiquattro lettori, questo delle ossessioni identitarie (nostre ma non solo nostre, per la verità) è un tema che mi è molto caro e in relazione al quale ho qui più volte segnalato diverse letture (da Identità e violenza, di Amartya Sen, a Stranieri alle porte di Zygmunt Bauman, a Identità di Francis Fukuyama,  fino a Il mito delle origini di Massimo Montanari); ma è anche un tema a mio avviso profondamente inquietante per i risvolti etici e i precedenti storici che inevitabilmente evoca, specie in questi giorni che abbiamo dedicato alla memoria delle follie identitarie di meno di un secolo fa ed ai moniti che essa  tuttora contiene.

Il problema è – conclude Bettini, senza inappropriati ottimismi – che coloro i quali tengono fra le mani la tenaglia dell'identità, e la stringono, difficilmente leggeranno questo libro così come difficilmente leggeranno gli innumerevoli libri di argomento simile che sono stati scritti….L' identitario “duro”, quello che stringe la tenaglia, ascolta solo quelli che parlano come lui, pensano come lui, sta chiuso nella sua foresta e, salvo miracoli squisitamente individuali, difficilmente sarebbe disponibile a uscirne per cambiare idea.  

Rimane tuttavia – ed è questo il senso del libro – l’imperativo culturale e morale dell’argomentare tenace e del rifiuto ragionato di ogni tribalismo che porta ad immaginare l’umanità rinserrata in foreste contigue, per cui chi tra noi non è della tribù ha semplicemente sbagliato foresta.

Roma 30 gennaio 2021 

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