Il totalmente nuovo
(di Felice Celato)
Come ogni anno, ma sempre di più con la vecchiaia, chissà perché nei primi giorni dell’anno nuovo, mi scorre per le ossa il brivido del tempo.
Da un’antologia di pensieri sul tempo (Il tempo e la storia, il senso del nostro viaggio, Piemme, 2017) di quell’incomparabile maestro della fede che è Joseph Ratzinger, traggo questo pensiero: Il presente è una formazione della coscienza umana che abbraccia e riduce a un “oggi” il passato e il futuro. Questo significa che il presente può avere diverse connotazioni. Ci sono tempi in cui il presente è interamente riempito del passato, come accade nelle culture tardive, che non guardano più in avanti ma solo indietro […] Ci sono invece tempi totalmente assorbiti dall’assillo del momento presente, in cui di conseguenza non c'è nessuna possibilità di guardare indietro o avanti. E finalmente ci sono tempi in cui tutto il peso è posto sul futuro; tempi nei quali il presente è riempito con lo sguardo rivolto al domani. Di questo tipo era il presente del cristianesimo primitivo, che in una storia riempita di passato considerava questo tutto come fondamentalmente concluso e si apriva all'attesa di ciò che doveva venire, del nuovo mondo che attendeva dal Cristo, che sarebbe ritornato
Di questo tipo, ma con segno del tutto diverso, è anche il nostro tempo, al quale ciò che è accaduto finora spesso appare solo come la preistoria prima del totalmente nuovo verso cui l'umanità è diretta a passi sempre più veloci.
Il testo è tratto dal volume Fede e futuro, del 1971; ma, c’è, ancora oggi, forse passata la “sbornia” di quegli anni, un totalmente nuovo in cui possiamo riporre la nostra attesa terrena? Noi come umanità, intendo; o forse solo come società. Un amico (del quale nessuno che lo conosca solo professionalmente potrebbe sospettare una delicata vena poetica) mi ha scritto di attenderselo, per noi, sotto un duplice segno: del cielo negli occhi e del solco sotto i piedi. Sarebbe un bel segno, ma forse è solo un bel sogno.
Come individuo, ratione aetatis, ho ragione di credere che per il mio personale e vero totalmente nuovo non ci sia più da attendere molti anni; e, francamente, ho molta più speranza in questo che non nel totalmente nuovo che possiamo fabbricare con le nostre mani, quand’anche, come vuole il mio amico, con lo sguardo in alto riuscissimo davvero a rimettere mano al solco.
Curiosamente anche il Censis (che pure non scrive poesie), quest’anno, ha utilizzato questo simbolo per guardare al nostro futuro: Il nostro Paese, attende di sentire di nuovo, quando dopo le lacrime altro non si avrà da offrire che fatica e sudore, il richiamo a rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, andando diritti. E, in fondo, anche qui, nel farci gli auguri per il 2020, avevamo vagheggiato di anni muggenti, di aratri e di vomeri. Poi è andata come sappiamo, fosse invece dei solchi; e, per il nostro feroce rammarico, persino senza “colpa” di alcuno! Per fortuna però i cieli nuovi e una nuova terra (2Pt 3,13) ci aspettano ancora.
Roma 5 gennaio 2021 (864° mese)
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