lunedì 2 novembre 2020

Giorni nervosi

 Pensieri sparsi

(di Felice Celato)

Non so se, anche ai miei corrispondenti (in senso Ungarettiano), questa cappa pandemica fa lo stesso effetto che fa a me: i pensieri faticano ad addensarsi ordinatamente su qualcosa che valga la pena di discutere fra noi; i numeri ribelli del morbo, gli amici più cari sfiorati e magari anche colpiti da qualche forma di infezione, l’allarme sociale, il vociare più confuso che mai dei nostri soverchiati “politici”, la preoccupata omogeneità degli argomenti di cui si finisce inevitabilmente a parlare (o a leggere) ovunque; tutto insomma coopera per interrompere il fluire ordinato di ragionamenti non del tutto condizionati dalla "peste". E tuttavia  – per non perdere l’abitudine alle nostre conversazioni asincrone – eccomi qua a riversarvi comunque i frammenti degli sparsi pensieri di questi giorni inusitati.

 

Il Giorno dei Morti: da quando se ne sono andati i miei amati genitori, il Giorno dei Morti mi è diventato più triste e più dolce: mi fa piacere ritrovarmi a conversare col loro cenere muto e mi commuove il flusso dei rimpianti. Quanto cose vorrei che ci fossimo detti e invece ci siamo taciuti o ci siamo detti con parole sbagliate! Oggi, però, mi pare di riprendere con loro lo spazio dei sentimenti che ci siamo nascosti pur provandoli con un’intensità che, ora, il tempo dilata.

 

I bambini nella pandemia: per un vecchio qual sono, dati i tempi, potrebbe essere quasi pericoloso confessare la sua passione per i bambini: li vedo, coi loro genitori, a spasso per qualche giardino, ignari dell’ambiente e concentrati sulla loro curiosa vitalità; per loro il Covid non esiste e sorridono come sempre o piangono per cose che ci fanno sorridere. Osservandoli, credo di aver capito perché i bambini sono gli umani maestri del regno dei cieli (se…non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli…perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli,…perché …i loro angeli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli; Mt. 18, 3-4, 10).

 

Satura tota nostra est, scriveva Quintiliano (la satira è totalmente latina). E in effetti pare che i Greci – che pure quanto a civiltà del pensiero furono maestri dei romani – non praticassero, per lo meno con la passione dei romani, questo genere letterario che, oggi, sembra diventato totemico (anche quando è puro sghignazzo). Bene: ma, mi chiedo, perché nell’irrinunciabile diritto alla satira (rivendicato da ogni laico che si rispetti, quasi che essa sia il simbolo più sacro della libertà di espressione) non funziona nessuno dei “limiti” che (giustamente) ci siamo autonomamente dati al nostro linguaggio? In fondo ci censuriamo se ci viene in mente di definire negro  un nero di pelle (eppure niger, -a, -um, nella nostra lingua madre, vuol dire, appunto nero) o condanniamo (e giustamente!) chi apostrofa, con parola rubata alla suburra, come finocchio un omossessuale, o chi definisce sordo un non-udente o cieco un non-vedente, o minorato un diversamente abile; ci preoccupa, insomma, l’essere in qualche modo, anche solo lessicalmente, irrispettosi dell’altrui “diversità”, meritevole – come è ovvio – di ogni nostro riguardo (lo dico da convinto eterofilo, non solo per inclinazioni sessuali ma anche per passione intellettuale verso l’altro, il diverso). E, invece, per quanto riguarda le (altrui) convinzioni religiose ci sentiamo in diritto di beffeggiarle senza alcuna auto-censura, quasi che il panottico del politically correct arresti il suo occhio severo di fronte alla diversità religiosa (o proprio alla religione?). [N.B.: (1)  Per un liberale radicale come chi scrive è veramente difficile questo discorso che sembra porre in questione un aspetto della libertà di espressione; ma quella che pongo è una questione di pura autolimitazione, non una rivendicazione normativa; (2) a qualche laico un po' fesso – che fa finta di credere che il rispetto rivendicato sia verso il Dio di ciascuno anziché verso il singolo credente – mi sento di garantire, da credente, che il buon Dio, delle nostre parole più corrive, per nostra fortuna non tiene alcun conto; Egli è abituato a guardare oltre le parole; (3) mi viene assai difficile ritenere che il diritto alla blasfemia (rivendicato con fierezza da alcuni) sia solo una manifestazione di laica indifferenza ai credi religiosi e non anche una forma di incivile spregio per le convinzioni religiose; (4) solo un fesso al cubo potrebbe ritenere questo discorso in qualche modo assolutorio verso ogni e qualsiasi forma di violenza del tipo di quelle che si sono scatenate in Francia in questi giorni].

 

Misure di contenimento del virus: attendiamo le nuove misure col senso di trepidazione che ci crea ogni azione normativa di questa nostra affannosa politica annunziante.

Certo mi peserebbe assai dover rinunciare – solo perché ho compiuto i 70 anni – al piacere di immergermi ogni sera nella famosa movida fino a tarda ora.

Roma 2 novembre 2020

 

 

 

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