Aspettando un amico malato
(di Felice Celato)
Che questi giorni siano (almeno) nervosi, ce lo siamo già detti: la ripresa violenta della pandemia (che solo qualche settimana fa credevamo in via di rapida attenuazione), il fatto che alcuni pesanti affanni da Covid abbiano toccato amici fraterni fra i più cari (e uno anche pesantemente), il perdurare della confusione istituzionale che ci caratterizza, l’angosciante senso di inadeguatezza dei nostri policy makers e (ancor più) dei loro avversari, l’assenza di ogni prospettiva meta-emergenziale, anzi l’avvitarsi su se stessi dei tic statolatrici di sempre (per i quali tutto si risolve in bonus, ristori, rinvio di tasse, provvidenze disordinate, assunzioni statali, sforamenti di bilancio, crescita del debito e via cantando “allegramente”); tutto coopera per mettermi in uno stato ansioso e catatonico che mi ostacola persino nella coltivazione dei miei interessi di sempre. Faccio fatica persino a concentrarmi sulle letture più amate (e dire che ho sul tavolo due o tre libri che in altri tempi avrei divorato!). In questa agitazione psicomotoria, vado persino ansiosamente avanti nella lettura delle pericopi delle liturgie quotidiane; sicché ho letto ieri già la pericope evangelica che udremo (coloro che vanno a messa) leggere in chiesa domani (Mt. 25,14-30). Anzi , per distrarmi, ne ho cercato il testo nella chiave sinottica che i miei lettori “paolotti” conoscono bene, per esplorare meglio qualcosa che mi pareva di ricordare anche nella versione di Luca (Lc. 19, 11-27); e in effetti ho trovato anche la piena concordanza dei testi!
Dunque riassumo per i laici ostinati: la parabola è quella (del resto nota a tutti) cosiddetta dei talenti, cioè del padrone che parte in viaggio e, prima di partire, affida a ciascuno dei suoi servi, secondo le capacità di ciascuno, i suoi beni da custodire, sotto forma, appunto di talenti (antica moneta di ingente valore); parabola – è di tutta evidenza – da leggere in chiave escatologica ed esistenziale, sia nella versione di Matteo che in quella di Luca (la vita come luogo per la messa a frutto dei talenti che ci sono stati donati, in vista del “rendiconto” finale). Ma in ragione dell’agitazione psicomotoria che mi pervade, la mia disordinata attenzione si è soffermata su una banalità del tutto impertinente (in senso etimologico, cioè non proprio pertinente al testo; non quindi – spero – nel senso di insolente!). Dunque, al suo ritorno, il padrone chiede conto dei talenti affidati a ciascuno dei suoi servi e si compiace con quelli che – in misura diversa secondo le capacità di ciascuno – in sua assenza li hanno messi a frutto e sono stati in grado di restituirli accresciuti, appunto, del frutto; ma si adira col servo pigro (anzi: malvagio, dicono gli evangelisti!) che, per paura di perderlo, ha nascosto sotto terra il talento ricevuto in amministrazione e l’ha quindi restituito senza frutto alcuno.
Ciò che mi ha colpito (ripeto: in maniera impertinente!) è come, per entrambi gli evangelisti più o meno con lo stesso testo, il padrone ha argomentato il suo aspro rimprovero: “bisognava che tu avessi depositato i miei denari dai banchieri e io venendo avrei recuperato il mio con l’interesse” dice Matteo; “e perché non hai dato il mio denaro ad una banca? Ed io venendo l’avrei riscosso con l’interesse” dice Luca.
Bene. Per antica professionale consuetudine col commercio del tempo (e che cos’è la finanza se non commercio del tempo; e l’interesse, cos'altro se non il prezzo che rende i valori monetari comparabili nel tempo? e cos'è il mercato finanziario se non il luogo dove questi valori si scambiano?) ho trovato un impertinente conforto ai tanti anni spesi occupandomi (anche) di questo!
Confesso che qualche lettura o qualche espressione anche di ambiente ecclesiale, mi aveva cagionato qualche rimorso per il mio passato professionale, in varie fasi speso all’interno di questo piccolo o grande mercato (della cui frequentazione temevo dovessi eternamente vergognarmi); e come al solito la lettura del Vangelo mi è stata di conforto, stavolta con una notazione del tutto incidentale all’interno del suo ben altro insegnamento perenne.
Per tornare ai nostri giorni nervosi, come si vede la propensione a distrarsi indotta dalla loro agitazione può cagionare vaste defocalizzazioni, di solito – di questi tempi – ulteriormente ansiogene; stavolta, invece, è andata meglio! Forse solo perché il mio amico malato comincia a stare un po' meglio e già si intravvede l’ora in cui tutti coloro che gli vogliono un gran bene potranno riabbracciarlo (con mascherina, s’intende!)
Roma 14 novembre 2020
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