domenica 8 novembre 2020

Giorni nervosi /2

 Trump & Trumpeters

(di Felice Celato)

1.

Temo che abbia ragione il Direttore del Foglio che, qualche giorno fa, ammoniva che, finito Trump, non è però finito il trumpismosi commetterebbe un grave errore – scriveva fra l’altro Claudio Cerasa –  ad archiviare la stagione trumpiana pensando che negli ultimi quattro anni il virus del trumpismo sia stato un qualcosa che ha infettato solo il dibattito pubblico americano. Il virus del trumpismo, che in attesa di un rigetto globale continuerà a esistere anche con Trump lontano dalla Casa Bianca, è stato molto altro e, più che con una certa idea di come orientare la destra, c’entra con una certa idea di come orientare il mondo.  È stato questo il dramma del trumpismo, contro cui, con fatica, la società americana ha reagito. È stato quello di aver intossicato il dibattito pubblico. E’ stato quello di aver alimentato la retorica xenofoba. È stato quello di aver giocato con il complottismo. È stato quello di aver avallato il cospirazionismo. È stato quello di aver trasformato gli esperti in una casta di nemici del popolo. È stato quello di aver flirtato con i nemici della società aperta. È stato quello di non aver fatto tutto ciò che un presidente avrebbe potuto fare per combattere il suprematismo. È stato quello di aver dato un contributo cruciale alla diffusione di teorie antiscientifiche. È stato quello di aver trasformato l’America first non nel simbolo di un riscatto americano ma in un tentativo progressivo di lasciare con le spalle scoperte i difensori della democrazia liberale. È stato quello di aver strizzato gli occhi a tutti i politici decisi a trasformare l’Europa in un sogno da distruggere. È stato quello di aver trasformato, a colpi di dazi, la libera circolazione delle merci in un feticcio da abbattere. È stato quello di aver messo la democrazia della conoscenza sullo stesso piano della democrazia dei creduloni. È stato quello di aver messo il conservatorismo al servizio di una ideologia antisistema. È stato quello di aver applicato con costanza, per anni, una dottrina magnificamente sintetizzata dal sociologo Gérald Bronner come l’effetto Otello: non importa quanto una teoria sia accurata, anche una teoria palesemente falsa può avere successo se invade il dibattito pubblico e instilla il dubbio nella mente delle persone. “Nel libro terzo della Guerra del Peloponneso – ha ricordato Mark Thompson nel suo magnifico saggio sulla ‘Fine del dibattito pubblico’ dedicato a un’America trumpiana non così diversa dall’Italia sovranista – Tucidide sostiene che un fattore importante del declino di Atene da democrazia disfunzionale fino a tirannide e anarchia passando attraverso la demagogia fu una particolare mutazione nel linguaggio, quando cioè la gente cominciò a definire le cose in modo casuale, senza ordine, facendo perdere alle parole il loro vero e accettato significato”. In questo senso, il guaio del trumpismo non è quello di essere stato un veicolo di bugie eccessive, non è quello di essere stato un simbolo di un’etica tradita, non è quello di essere stato il simbolo di come si eludono le tasse. Ma è stato molto altro. Ed è stato quello di aver allegramente contaminato i pozzi del dibattito pubblico mettendo in circolo un veleno con cui le democrazie liberali dovranno fare i conti chissà quanto a lungo

Fin qui la citazione [della cui lunghezza chiedo scusa], con qualche mia sottolineatura.

2.

Direi io che, passato Trump (la tromba, in inglese, ma anche la briscola; un gioco che, in Italia, dà quasi sempre luogo ad interminabili contese alto-vocali, sull’efficacia di come vengono giocate le singole carte), restano però, per esempio da noi, i trumpeters (i trombettieri del gergo militare, non certo eccelsi artisti della tromba ma utili, nei campi di battaglia e negli accampamenti, per suonare sveglie, adunate, cariche e… ritirate).

In questi giorni nervosi e inusitati, mentre ci torna in mente la tragica poesia della nostra adolescenza [il morbo infuria…il pan ci manca…sul ponte sventola bandiera bianca], ci verrebbe voglia di sentirli suonare – i trombettieri – solo le note solenni del Silenzio fuori ordinanza; ma il silenzio, da tempo, non è più fra gli spartiti che circolano nel nostro rabbioso paese. E sul dolore e l’ansia di tutti, temo seguiteremo ad ascoltare incongrue adunate (o, peggio, cariche dissennate).

Roma 8 novembre 2020

 

 

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