L’intelligenza ama i problemi
(di Felice Celato)
Come sanno i miei amici, da tempo uso la televisione (quasi) solo per vedere partite di calcio, di golf e di snooker (purtroppo l’altro preferito svago – il sumo – trova poco spazio nei palinsesti sportivi); mi preservano dal disgusto dei telegiornali (per quello che raccontano e per come lo raccontano), dalla nausea civile che mi suscitano tutti i cosiddetti talk-show, dalla nebbia che avvolge i nostri cervelli di un triste Zeitgeist.
Pochi, invece, fra i miei amici, sanno che (anche in TV) seguo con curiosità ed interesse la pubblicità; che, paradossalmente, mi pare la forma più sincera per la veicolazioni di messaggi diffusi; intanto perché so bene – per essermene in qualche modo occupato quando lavoravo – quanto sforzo (non solo intellettuale ma anche economico) costi la canalizzazione in pochi secondi o minuti di un messaggio che possa risultare, ad un tempo, efficace, gradevole e, se possibile, intelligente; poi – e soprattutto – perché l’interesse di chi propone un messaggio pubblicitario è trasparente: spende (e anche tanto) per poterti dare, anche attraverso suggestioni, un consiglio d’acquisto evidentemente interessato, esponendosi in pieno al rischio che – a valle dell’acquisto promosso – la tua scelta ti risulti sbagliata e comunque da non ripetere.
E vi assicuro che non mancano occasioni in cui il messaggio pubblicitario, oltre a conseguire la suggestione cui mira, finisce per veicolare anche qualche pillola di saggezza, ben utilizzabile al di là del recinto banalmente promozionale.
E’ il caso del bellissimo slogan (l’intelligenza ama i problemi) col quale si apre una breve pubblicità della IBM (credo facilmente rintracciabile anche su YouTube): pensate se solo riuscissimo a farne una filosofia della politica (italiana)!? Che cosa vedremmo? E che cosa (forse) non vedremmo più?
Vedremmo una sfilata di politici (intelligenti) che snocciolano davanti ai cittadini i problemi che abbiamo difronte (diciamolo: ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta!); e che, intelligentemente, promettano di lambiccarsi il cervello per risolverli e a ciò si dedichino con competenza e costanza. Vedremmo i cittadini, intelligentemente e finalmente, coscienti delle difficoltà in cui si dibatte da anni la società italiana e ansiosi di vederli finalmente misurati (nella loro dimensione ed importanza) e, possibilmente, risolti; ed anche coscienti del potere che dà loro la democrazia (scegliere chi conosce ed affronta i problemi anziché chi li nega) e decisi ad utilizzarlo. Non vedremmo più tutto il resto, che ci scolora il reale e ci appanna i suoi veri problemi.
Sarebbe una radicale trasformazione del nostro ambiente socio-culturale, se solo l’intelligenza scoprisse di poter amare, con spirito prometeico, i problemi che è chiamata a risolvere!
Temo, però, che ci siamo troppo assuefatti al presente per poter sognare tanto.
In fondo – confessiamolo – ci siamo accomodati (così, almeno, dicono i sondaggi) alle sfilate di funambolici semplificatori, applicati ad elaborare nuovi slogan per meglio propinarci retoriche decettive e banalizzanti, e per dissolvere i problemi (quelli veri) come farebbe il mago Silvan con la carta che fa sparire dietro al palmo della mano; e anche, ci siamo accomodati, alle loro fedeli schiere di commentatori (i tanti Simei di Umberto Eco), pronti a giurare che la realtà percepita (o fatta percepire?) è più importante di quella misurata e modificabile; e che – anche prendendo per buono lo slogan dell’IBM – se non vediamo fluire i fiumi di intelligenza (di cui, notoriamente, disponiamo per previlegio razziale) è solo perché ci mancano i problemi da amare.
Roma, 15 febbraio 2020
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