sabato 7 settembre 2019

Spigolature Italiche

Il Nuovo Umanesimo
(di Felice Celato)
Si possono fare le più diverse valutazioni sulla “crisi” che ha “animato” l’agosto della politica (normalmente sonnacchioso) e sulla soluzione (per certi aspetti “rivoluzionaria” ma non innaturale né imprevedibile) faticosamente adottata. Ognuno – come è giusto e naturale – avrà le sue idee, le sue speranze o i suoi sconforti, le sue soddisfazioni o insoddisfazioni con le quali guarda alla cronaca politica; e non è il caso – né il luogo, questo – di mettersi a discuterne. Forse si potrà – credo – convenire solo sulla spericolata ambizione della definizione dell’evoluzione in corso come nascita di Nuovo Umanesimo (definizione della quale, però, come vedremo subito, non ci sfugge il senso). Oppure si potrà – come capita a maniaci come me – trasformare il PDF “Programma di governo” (diffuso dai giornali il 4 settembre) in un documento Word che consente di contare le parole e rimarcare le ricorrenze o le assenze, per trarne gli auspici, fausti o infausti che siano (per la cronaca: fra le 3118 parole che costituiscono il Programma del Nuovo Umanesimo non compare mai la parola “debito” o il sintagma “debito pubblico”, concetti estranei alla dominante cultura statolatrica). Ma, torno a ripetere, non è questo il luogo né il tempo per discuterne (infatti ogni albero si conosce dal suo frutto, perché non da spine si raccolgono i fichi né da rovo si vendemmia uva, Lc. 6,44).
Però, attenti – come sempre ci sforziamo di essere –  a guardarci attorno prescindendo dalle nostre (inevitabili) opinioni politiche, non possiamo non aver annotato nel nostro personale diario del degrado, la mareggiata torbida di passioni tristi (copyright: Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis, su Il Secolo XIX, del 26 agosto u.s.) che continua ad alimentare il rancore col quale animiamo la nostra convivenza o anche solo ci esercitiamo quotidianamente a commentare i fatti della politica: chi ascolta tutti i giorni, come faccio io, la rassegna stampa di Radio Radicale si rende facilmente conto come la mareggiata torbida non sia solo un esercizio di socialità da bar della piazza ma sia diventata anche la chiave narrativa di molti e diffusi giornali, che rincorrono i borborigmi dei social media a suon di disprezzo e di mutua repulsa, così chiudendo il loop della cosiddetta pubblica opinione. Così, annota sempre Valerii (ibidem), siamo diventati il paese abitato da diavoli inqueti e senza aspettative.
Non è più, temo, solo un problema di misura perduta delle nostre parole (copyright: Giuseppe De Rita, su Il Corriere della sera del 3 agosto u.s.); i lettori più antichi di questo blog ricorderanno che, quasi otto anni fa, avevamo indicato in una specie di sociologico Lyssavirus rabies l’agente patogeno che rischiava (così ci appariva…. allora) di infettare la nostra società: è proprio, tuttora, un problema di rabbia, che lacera ogni comprensione e obnubila le menti. [Attenzione: nel mondo di oggi, in politica come in sociologia, non c’è più nulla di rilevante che abbia una radice solamente locale, checché ne possano pensare i cultori più ingenui dello ”specialismo” italico; e basta scorrere la letteratura politologica internazionale per rendersi conto dei fili più o meno sottili che legano le varie forme in cui si esprime la “rabbia” che collega, nel mondo occidentale, i postumi della crisi del 2008 con la percezione malevola della globalizzazione: dai Trumpismi ai Brexiterismi, ai diversi isolazionismi, alle rinascenti pulsioni nazionaliste.]
Se queste sensazioni hanno fondamento, un Nuovo Umanesimo – felice o infelice che sia l’ambiziosa espressione - è proprio quello di cui abbiamo bisogno; forse non solo su scala nazionale. Si tratta di vedere – al di là dei verbosi ed insulsi programmi nostrani che abbiamo approntato per dare corpo al nostro “vino”– se abbia senso riempire otri nuovi con vino vecchio.
Roma, 7 settembre 2019 












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