Spleen e terapia
(di Felice Celato)
Un amico, lettore fedele di queste povere note e critico sempre intelligente delle opinioni qui esposte solo come stimolo alla discussione fra amici, mi scrive (privatamente e con riferimento all’ultimo post) lamentando “uno spleen magari comprensibile ma in fondo eccessivo”.
Ora, la gran parte dei miei lettori, se bene fruga nella memoria, troverà traccia di questa fortunata parola (spleen) che a suo tempo conoscemmo studiando la letteratura; ma la memoria - si sa - alla nostra età si giova di qualche ripasso che, in breve, tenterei partendo ancora una volta dal Vocabolario Treccani:
Spleen: Termine inglese (dal gr. σπλήν «milza», il cui umore nero, secondo la medicina ippocratica, causava l’ipocondria) che indica uno stato d’animo caratterizzato da malinconia, insoddisfazione, noia e fastidio di tutto, senza una ragione precisa che lo provochi, proprio di molti scrittori romantici e decadenti, soprattutto inglesi e francesi.
Forse più del Vocabolario, stavolta, una omonima poesia (Spleen, di Charles Baudelaire, in Les Fleurs du mal) illumina sul senso (se si vuole: letterario) di questa parola:
Quando come un coperchio, il cielo basso e greve / schiaccia l'anima che geme nel suo eterno tedio, / e stringendo in un unico cerchio l'orizzonte / fa del dì una tristezza più nera della notte, / quando la terra si muta in umida cella segreta / dove sbatte la Speranza, timido pipistrello, / con le ali contro i muri e con la testa nel soffitto marcito;/ quando le immense linee della pioggia / sembrano inferriate di una vasta prigione / e muto, ripugnante un popolo di ragni / dentro i nostri cervelli dispone le sue reti, / furiose ad un tratto esplodono campane / e un urlo lacerante lanciano verso il cielo / che fa pensare al gemere ostinato / d'anime senza pace né dimora.....
Bene: chiarito il concetto anche con l’ausilio del poeta maledetto, non nego che un certo....schiacciamento dell’anima talora - in questi tempi - gravi come un coperchio sulla mia percezione del presente; o, se volete uscire dalle suggestioni letterarie, che un misto di disgusto e di noia pervada la (mia) quotidiana lettura di fatti e tendenze del nostro mondo.
Ma - mi preme chiarirlo usando le stesse parole di Baudelaire - l’ Angoscia, dispotica, non ha ancora piantato sul mio cranio chinato il suo nero vessillo.
Non solo perché....ci sono sempre le famose sei anfore di pietra in attesa del Vino Buono (e non è poco!), ma perché io credo (ancora!) che - alla umana portata delle nostre mani - ci sia (ancora!) una strada rivoluzionaria che (ancora) non abbiamo percorso; sì, rivoluzionaria perché la rivoluzione non è solo revolucion, secondo un concetto marxista prestato alle confuse istanze del sud America di qualche decennio fa (delle quali vediamo tutt’oggi le misere vestigia); perché da noi non è stata ancora percorsa (ancorché talora intraveduta); perché comporta una trasformazione radicale degli assetti psico-sociali ai quali ci siamo da lungo fatti avvezzi.
Restiamo nell’ottica ippocratica (l’umor nero secreto dalla milza provoca l’ipocondria) e proviamo a descrivere, come fossimo clinici, la rivoluzione cui alludo, abusando dell’analogia sanitaria e immaginando - in fondo forse appropriatamente - la nostra società come un organismo vivente.
L’anamnesi è cupa: il paziente soffre di una perdurante crisi di stanchezza e sfiducia nei propri mezzi e negli altri, forse riconducibile alla sua troppo giovane esperienza democratica o alla sua carente formazione critica; è perennemente ringhioso, alla ricerca di qualcuno con cui prendersela per i propri problemi e, allo stesso tempo, avido di scorciatoie per risolverli a suo modo, senza troppa fatica; si mostra spesso credulone con frequenti crisi onirico-narcisiste.
Diagnosi: urge “ripulire” le sue arterie dal colesterolo della statolatria che occlude ed irrigidisce i vasi, liberare i suoi polmoni dall’enfisema oppressivo che accorcia il respiro della sua vitalità, abbassare il tasso di glicemia paternalista che gli pervade il sangue di dolciastri umori statalisti e provoca cancrene e gravi deperimenti funzionali; depurare il fegato degli umori perversi che rendono fetida la sua bile.
Terapia: sull’organismo così depurato, somministrare poi massicce iniezioni quotidiane di rule of law per molti anni, almeno finché l’organismo stesso non avrà ricominciato a produrre da sé il gusto della libertà (che, come diceva Benedetto Croce, al singolare esiste soltanto nelle libertà al plurale) e la passione per la vita.
Prognosi: dopo la cura, la guarigione è assicurata; lo stato oppressivo padre-padrone e fratello prepotente, una volta ricondotto ai ruoli suoi propri, sarà solo un ricordo di questi anni grevi.
Orbetello, 6 agosto 2019
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