Sulla via del
ritorno
(di Felice Celato)
Per
re-integrarci definitivamente nell’affannoso clima che ci attende in questo
residuo scorcio dell’anno, eccomi qua a rendervi conto di due letture estive di
un certo impegno, “prescrittemi” da un amico, affettuosamente e seriamente
preoccupato dalle mie “scandalose” derive anti-statolatriche,
anzi, per abusare di parole inventate, decisamente stato-steniche.
La
prima lettura è un lungo testo di Mariana Mazzuccato (Lo stato innovatore, Laterza editore, 2014) che muove da
un’affermazione che è difficile non condividere: il ruolo determinante (per la
crescita in ambiente competitivo) della ricerca e dell’innovazione. E sostiene,
in estrema sintesi, che, per la natura dei rischi che l’investimento in
innovazione comporta e per la tipologia di esigenze finanziarie che pone (i capitali pazienti), l’innovazione
abbia bisogno dello stato, perché né la natura dei rischi né i tempi di ritorno
sono compatibili con le aspettative di un imprenditore. E, infine, descrive una
serie di interessanti esempi di come anche le più prestigiose e celebrate
imprese private (Apple, per esempio) si siano avvantaggiate in maniera decisiva
non solo del supporto dello stato in alcuni passaggi cruciali della loro storia
ma anche di tecnologie direttamente sviluppate dallo stato, specie in ambiente
militare.
La
seconda lettura è un libro del Premio Nobel Paul Krugman (The return of depression economics and the crisis of 2008, Norton
editore, 2009), secondo me di grande suggestione intellettuale, sebbene
non nuove siano le tesi che vi espone (di suo avevo già letto: Fuori da questa crisi, adesso! e Lo stato non è un’ azienda): le depressioni,
come le guerre, sono i veri nemici della stabilità capitalistica; le esperienze
fatte in tutte il mondo (anche qui la rassegna è ampia) in occasione di depressioni locali o generali
evidenziano spesso gli errori dei governi in termini tempestività e di
efficacia dei rimedi che vengono posti in atto. Nella situazione in cui
scriveva l’autore (siamo nel 2009, poco lontani dell’esplosione della crisi
finanziaria ) i problemi sono (erano): (1) l’insufficienza quantitativa e
qualitativa del credito (per crisi di fiducia e scarsezza dei capitali delle
istituzioni finanziarie); e, (2) la scarsa propensione a spendere. Di qui la
ricetta tipicamente Keynesiana: più capitali dello stato (anzi degli stati,
coordinati fra loro) per sostenere il
credito e rassicurare i mercati in ordine alla tenuta delle banche; più spesa
pubblica per stimolare l’economia.
Dico
subito che, per quanto a diverso titolo interessanti, le due letture si sono rivelate
inadatte allo scopo “terapeutico” perseguito dal mio amico soprattutto per un
motivo: entrambe muovono da un approccio economico e…lì restano; anzi, prevalentemente
si focalizzano su esperienze, situazioni e problemi statunitensi, ai quali si ispirano le
soluzioni che suggeriscono. E, anche in questa ottica, nemmeno contraddicono il
mio assunto sulla necessità di confinare lo stato alle mere funzioni in cui è
(assolutamente) insostituibile, siano queste lo stimolo alla innovazione (nel
testo della Mazzuccato) o il soccorso ai mercati finanziari devastati dalla
crisi del 2008 o lo stimolo fiscale (Krugman). Non sono infatti un fanatico
liberista che nutra una fiducia sconfinata nella capacità di autoregolarsi del
mercato; né, tampoco, sono un anarchico radicale (qui mia moglie avrebbe certamente da ridire su certe mie presunte tendenze anarcoidi, ma lasciamo perdere: l'aggiunta dell'aggettivo "radicale"dovrebbe far contenta anche lei!). Anzi, credo che il mercato abbia la necessità di essere efficacemente
regolamentato da uno stato che sappia fare il suo vero mestiere (e che
abbia voglia di farlo!). In realtà il nucleo delle mie convinzioni (faccio
rinvio a quel che venivo dicendo, da ultimo, il 4 luglio u.s. nel post Letture
liberali/2) muove da un’ottica che è - prima ancora che economica - culturale
e sociologica e, per di più, riferita al nostro paese: noi abbiamo disperato
bisogno di una frustata alle nostre
pigrizie statolatriche, nelle quali, in Italia, ci siamo crogiolati per anni
coi risultati che vediamo. Non usciremo da nessuno dei cerchi concentrici delle
nostre crisi (vedasi post del 29
giugno u.s) senza un radicale cambiamento di mentalità e continuando ad
adorare una divinità, da noi, vecchia e
dispotica, alla quale ci siamo tuttavia abituati perché per anni ha diffuso l’illusione
che essa era, sempre, tutto per tutti.
Roma 22 agosto
2016
PS: Mi è stato detto che, quando cito precedenti post, sarebbe utile aggiungere il link. In realtà, senza appesantirci di troppi link, chi volesse rileggere qualche vecchio post, può farlo agevolmente accedendo, qui a fianco, all'Archivio blog e aprendo il periodo di suo interesse semplicemente facendo click sulla freccetta accanto all'anno o al mese de quo.
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