Parole e inflazione
(di Felice Celato)
Dominique
Moïsi, un eminente politologo francese, ha riassunto secondo me benissimo la situazione
in cui vive il mondo, o almeno l’Europa: “Nous vivons dès crises exceptionnelles avec dès dirigeants qui ne le sont pas”.
E in questo contesto, ignorando la portata meta-monetaria della famosa legge di
Gresham ( "bad money drives out good", la moneta cattiva scaccia quella buona), ci difendiamo (o meglio:
crediamo di difenderci) con valanghe di parole; e le parole, non diversamente
dalle monete, quando invadono “il mercato della comunicazione” in dosi
massicce, perdono il loro valore intrinseco, talora addirittura il loro
significato. E così le commerciamo freneticamente, mettendo da parte – quando, raramente, ci
rendiamo conto della realtà – la moneta buona dei significati (che, forse,
prima o poi torneranno utili).
In
questi tardi giorni d’estate, con l’autunno – pare – precocemente alle porte,
ascoltando i discorsi dei politici di ritorno da una (ahimè!) breve pausa di
riflessione, mi è venuta in mente questa amara constatazione che, parafrasando Gresham,
riassumerei dicendo “le parole vuote scacciano quelle piene”.
La
Francia, che per tanti aspetti assomiglia all’Italia, ne sta prendendo
coscienza; è di ieri la dichiarazione del premier francese Manuel Valls che ha suscitato tanto liberatorio consenso: “la Francia
ha vissuto per 40 anni al di sopra dei propri mezzi”.
Se sono veri i famosi tre
numeri della Merkel (“l’Europa ha il 7% della popolazione mondiale, il 25% del
PIL globale e il 50% delle spese totali
per welfare”), “la verità” di Valls, lungi dal valere solo per la Francia e (a
maggior ragione!) per l’Italia super-indebitata, vale certamente per tutto il
nostro continente, consegnandoci una situazione estremamente complessa che
richiederebbe un profondo ridisegno dei perimetri dell’azione degli Stati,
mentre la crisi politico-demografica del Mediterraneo scuote dalle fondamenta
anche il recinto del nostro apparente benessere e, all'interno di esso, i populismi più sfrenati propongono grossolane scorciatoie.
In
questo quadro, certamente difficilissimo (bisogna riconoscerlo, a mitigazione
dell’insufficienza dei nostri politici), non ho ancora ascoltato, da noi,
parole adeguate (che, in mancanza di fatti, sarebbero già qualcosa!); seguitano
invece a circolare freneticamente “le parole vuote”, la moneta cattiva che ci
avvelena la comprensione di problemi e ne rende perfino troppo ardua la
soluzione.
Qualche
esempio? Beh, è veramente difficile farne: Grillo, Berlusconi, Brunetta, ma
anche Renzi, Alfano, Orlando, Tosi e i tanti altri che abbiamo “ascoltato” in
quest’estate hanno offerto un tale campionario di “parole vuote” che viene
difficile sceglierne qualcuna. Del resto, quando ancora circolava la lira, chi
era in grado di indicare una singola cosa che valesse una lira?
Roma,
26 agosto 2014
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