martedì 3 settembre 2013

Letture

L’Apostolo
(di Felice Celato)

Nel difficile intento di sottrarmi ad ogni attenzione a quanto avviene in questo povero Paese, mi sono immerso, per molte ore e per molti giorni, nella lettura di un corposo libro che raccomando non solo ai lettori tenaci ma anche a quelli meno allenati che sappiano però gustare, magari poche pagine al giorno, una singolare biografia: la storia infatti, almeno a grandi linee, ci è nota e non si rischia, leggendone poche pagine per volta, di perdere il filo della narrazione.
La biografia riguarda infatti l’Apostolo Paolo e – cosa che rende singolarmente interessante questo libro – è stata scritta, ormai molti anni fa (nel 1943), da un autore ebreo (Sholem Asch, polacco naturalizzato statunitense, vissuto fra il 1880 e il 1957) che, confesso, pur ritenendomi se non uno specialista almeno un appassionato cultore della letteratura ebraica, non conoscevo.

E’ del tutto evidente che l’Apostolo Paolo costituisca, per i nostri fratelli ( e padri nella fede) ebrei, un personaggio scomodo, controverso, per qualche aspetto scandaloso; non a caso, leggo nella biografia dell’autore, questo libro gli è costato un pesante isolamento dalla sua comunità perché in fondo Sholem Asch si dimostra non solo profondamente affascinato dalla figura di Paolo ma anche un innamorato del Messia e dei suoi insegnamenti.

Con la maestria narrativa propria della sua cultura e della sua esperienza di drammaturgo (il libro si legge con grande piacere, con la fluidità di un romanzo), Sholem Asch ricostruisce, in gran parte sulla base degli Atti degli Apostoli, delle lettere paoline e delle tradizioni storiche cattoliche, la vita e le avventure di questo titano della storia della fede che fu San Paolo, aggiungendovi non solo l’immaginazione del contesto ma anche il supporto di un’appassionata prospettiva intrisa, come è ovvio, di sensibilità religiosa ebraica.

Proprio alla luce di questa, Sholem Asch  focalizza la sua attenzione sul  “dramma” del Fariseo figlio di Fariseo che, non solo si fa “scandaloso” Apostolo dei Gentili, ma scardina, con forza trascinante, il recinto della salvezza  che popolo di Giacobbe ascrive alla sua propria elezione.

Ne viene fuori un affresco impressionante, da un lato, della macerazione culturale di una Chiesa nascente che fatica ad integrare la sua rilevantissima matrice ebraica con le prospettive universali del messaggio cristiano, mentre le radica nella cultura pagana di Roma e dell’ambiente tardo ellenistico; dall’altro, delle lacerazioni drammatiche che via via si producevano all’interno di quel pilastro del monoteismo che è stato l’ebraismo, fra tradizionalisti e “Messianisti Cristiani”.

Un libro di straordinario interesse (L’Apostolo, di Shlem Asch, editore Castelvecchi, 2013) che vale anche a “rinfrescare” la memoria di quanti hanno dimenticato le radici (benedette) della nostra fede e della nostra cultura: non solo i protagonisti della Storia (Gesù stesso, Maria, Giuseppe, Maria di Magdala, Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, Matteo e tutti gli altri) sono ebrei ma ebrei furono gran parte dei primi convertiti che hanno costituito l’ossatura della chiesa nascente, sicché, come ricorda Messori nel libro segnalato qualche post fa (Ipotesi su Gesù), non si può non dire che gli ebrei hanno creduto, come credettero, dopo di loro e, come loro, in parte, i Gentili cui Paolo si rivolse come ebreo e figlio di Israele.
Roma 3 settembre 2013



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