L’Apostolo
(di Felice Celato)
Nel
difficile intento di sottrarmi ad ogni attenzione a quanto avviene in questo
povero Paese, mi sono immerso, per molte ore e per molti giorni, nella lettura
di un corposo libro che raccomando non solo ai lettori tenaci ma anche a quelli
meno allenati che sappiano però gustare, magari poche pagine al giorno, una
singolare biografia: la storia infatti, almeno a grandi linee, ci è nota e non
si rischia, leggendone poche pagine per volta, di perdere il filo della
narrazione.
La
biografia riguarda infatti l’Apostolo Paolo e – cosa che rende singolarmente
interessante questo libro – è stata scritta, ormai molti anni fa (nel 1943), da
un autore ebreo (Sholem Asch, polacco naturalizzato statunitense, vissuto fra
il 1880 e il 1957) che, confesso, pur ritenendomi se non uno specialista almeno
un appassionato cultore della letteratura ebraica, non conoscevo.
E’
del tutto evidente che l’Apostolo Paolo costituisca, per i nostri fratelli ( e
padri nella fede) ebrei, un personaggio scomodo, controverso, per qualche
aspetto scandaloso; non a caso, leggo nella biografia dell’autore, questo libro
gli è costato un pesante isolamento dalla sua comunità perché in fondo Sholem
Asch si dimostra non solo profondamente affascinato dalla figura di Paolo ma
anche un innamorato del Messia e dei suoi insegnamenti.
Con
la maestria narrativa propria della sua cultura e della sua esperienza di
drammaturgo (il libro si legge con grande piacere, con la fluidità di un
romanzo), Sholem Asch ricostruisce, in gran parte sulla base degli Atti degli
Apostoli, delle lettere paoline e delle tradizioni storiche cattoliche, la vita
e le avventure di questo titano della storia della fede che fu San Paolo,
aggiungendovi non solo l’immaginazione del contesto ma anche il supporto di
un’appassionata prospettiva intrisa, come è ovvio, di sensibilità religiosa
ebraica.
Proprio
alla luce di questa, Sholem Asch focalizza la sua attenzione sul “dramma” del Fariseo figlio di Fariseo che,
non solo si fa “scandaloso” Apostolo dei Gentili, ma scardina, con forza
trascinante, il recinto della salvezza
che popolo di Giacobbe ascrive alla sua propria elezione.
Ne
viene fuori un affresco impressionante, da un lato, della macerazione culturale
di una Chiesa nascente che fatica ad integrare la sua rilevantissima matrice
ebraica con le prospettive universali del messaggio cristiano, mentre le radica
nella cultura pagana di Roma e dell’ambiente tardo ellenistico; dall’altro, delle
lacerazioni drammatiche che via via si producevano all’interno di quel pilastro
del monoteismo che è stato l’ebraismo, fra tradizionalisti e “Messianisti
Cristiani”.
Un
libro di straordinario interesse (L’Apostolo,
di Shlem Asch, editore Castelvecchi, 2013) che vale anche a “rinfrescare” la
memoria di quanti hanno dimenticato le radici (benedette) della nostra fede e
della nostra cultura: non solo i protagonisti della Storia (Gesù stesso, Maria,
Giuseppe, Maria di Magdala, Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, Matteo e tutti
gli altri) sono ebrei ma ebrei furono gran parte dei primi convertiti che hanno
costituito l’ossatura della chiesa nascente, sicché, come ricorda Messori nel
libro segnalato qualche post fa (Ipotesi su Gesù), non si può non dire
che gli ebrei hanno creduto, come credettero, dopo di loro e, come loro, in
parte, i Gentili cui Paolo si rivolse come ebreo e figlio di Israele.
Roma
3 settembre 2013
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