Misure di autotutela
(di
Felice Celato)
Un
recentissimo dibattito fra amici (l’argomento qui non ha importanza) mi ha
indotto a focalizzare, in mezzo al patrimonio di valori e valutazioni di fondo
assolutamente convergenti (io ho il previlegio di avere questo tipo di amici!),
una mia peculiare sensibilità ad un tema che ai più è parso, invece, quasi
marginale o comunque tanto laterale da risultare inconferente rispetto
all’oggetto della discussione.
Poiché
questo tema (quello dell’”igiene” della formazione delle opinioni) è uno dei
pilastri di tante mie non proprio serene aspettative sul futuro (intramondano!)
della nostra “eredità”, vorrei tornarci sopra per chiarire, prima di tutto a me
stesso, le mie idee al riguardo.
La
mia tesi è questa: noi viviamo in un paese caratterizzato dallo sfarinamento
progressivo di ogni consistenza del ragionare, da un fastidio per i concetti
che appena appena siano un po’ faticosi da mettere insieme; e, d’altro canto,
dal progressivo consolidamento di emozionismi vaganti pronti a riprodursi, come
certe piante anemofile, sull’onda del vento. E questo potente fluttuare di
pollini fa fiorire vacue opinioni caduche che divengono rapidamente – per una
sorta di loop naturale fra opinioni (anche
mal radicate) e politiche elettoralistiche – altrettanto caduche linee di
azione. La conseguenza, e qui uso le parole del Censis (Fenomenologia della società impersonale, giugno 2013) che a questo
fenomeno ha dedicato tanta attenzione, è una società afasica….un ingorgo di emozioni che non ha le parole per essere
espresso, i pensieri per essere pensato. Il vento “fecondatore” è,
ovviamente, il largo mondo delle comunicazioni, con la sua congerie di
messaggi, di “pressioni sugli spiriti”
(Paolo VI, Messaggio sulle comunicazioni sociali, 1967), di sollecitazioni, di
veicolazioni di mentalità e di stili di vita. E tanto più è potente questo
vento, quanto meno solido è il terreno culturale cui applica messaggi,
pressioni, sollecitazioni, mentalità.
Da questo
punto di vista l’Italia appare un paese particolarmente gracile, da un lato per
la povertà dei suoi livelli di formazione (per esempio: in Italia l’incidenza
dei laureati è pari alla metà di quella dei principali paesi europei, e il
divario tende a crescere nel tempo; per essa si parla di analfabetismo funzionale diffuso, cioè l’incapacità da parte di individui di usare
in modo efficiente le abilità di lettura, di scritture e di calcolo, vedasi
la ricerca OCSE-Unesco Adult literacy and
life skills, citata sempre dal Censis); dall’altro, per
l’omologazione verso l’alto di stili di vita diffusi in altri Paesi, vissuta
senza la capacità di mediazione critica che solo più profondi livelli culturali consentono.
Per
questi motivi, sono portato a considerare, forse ossessivamente, la necessità
di un’igiene scrupolosa delle opinioni, di una sorveglianza occhiuta ai cibi
(della mente) che ci propiniamo ed alle correnti (delle emozioni) che
circolano. Come, appunto, dovrebbe fare ogni persona gracile che si lava spesso le mani, sta attento a quello che mangia e si sottrae agli spifferi.
Assai
difficile, però, ancorché per certi aspetti decisivo, è tradurre queste considerazioni in
rimedi di tipo politico, particolarmente in democrazia, dove “il degrado antropologico è anche
determinante nella selezione della rappresentanza, che per un verso lo esprime
e per l’altro lo legittima e lo consolida” (come scrive il filosofo
Salvatore Natoli, Il buon uso del mondo,
Mondadori, 2010). Non ho dubbi al riguardo che l’unica strada da percorrere sia quella dell’investimento nel capitale culturale del Paese, nelle sue competenze
e nella sua apertura al mondo; ma questo investimento richiede tempi lunghi e
sforzi enormi, che forse possono eccedere le risorse di un paese sfibrato.
Non
resta, allora e nel frattempo, che il ricorso, appunto ossessivo, a rimedi di “autoprotezione”
che si possano mettere in campo sul piano individuale e micro-collettivo (l’igiene
del linguaggio, la sanità delle sue fonti, la misura nelle dosi di polemica
quotidiana, etc), come altre volte siamo venuti dicendo su questo blog (vedasi la serie: Ecologia della convivenza). Non sarà
molto, ma almeno questo mi pare alla
nostra portata. E doveroso per la nostra salute.
Roma,
13 settembre 2013
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