sabato 22 settembre 2012

Un salutare ripasso di cultura Greca


Penelope
(di Felice Celato)

Narra Omero che la bella Penelope, fedele moglie del grande eroe Ulisse e, quindi, regina di Itaca, volendo ad ogni costo resistere alle pressioni dei Proci perché scegliesse uno di loro e ne diventasse la moglie, abbia concepito un ingegnoso stratagemma per sottrarsi a quello che, dato per morto Ulisse sulla via del ritorno da Troia, sembrava essere il suo inevitabile destino: diventare la sposa di uno di quei viziosi nobilastri che ambivano soprattutto ad impadronirsi dello scettro dell’isola di Itaca, appunto sposandone la regina. Dunque Penelope fece sapere ai Proci che avrebbe deciso quale di loro scegliere solo dopo che avesse finito di tessere il sudario funebre dell’amato suocero Laerte; e mentre di giorno si mostrava intenta alla tessitura del lenzuolo, di notte, segretamente, ne disfaceva la tela, cosicché il lavoro mai progrediva e Penelope poteva guadagnare tempo coltivando in cuor suo la certezza che Ulisse sarebbe comunque tornato.
Per la verità l’ingegnoso artifizio ad un certo punto della storia, se ben ricordo, venne rivelato ai Proci da un’ancella infedele e solo l’arrivo di Ulisse e la spietata vendetta che lo stesso trasse sui giovani Proci, riuscirono a sottrarre Penelope al suo ormai inevitabile destino.
Dunque la tela di Penolope è diventata il simbolo di un’indefessa attività di costruzione e de-costruzione, messa in atto, con vece continua, nell’intento di posticipare una scelta cui altrimenti si sarebbe costretti.
Fin qui, l’antica cultura greca, che molto ha insegnato all’uomo occidentale di tutti i tempi della storia.
Bene: leggendo le povere cronache politiche del nostro povero Paese, stremato dai suoi Trimalcioni, mi è sorto il sospetto che il mito di Penelope si appresti a tornare di moda e che di esso stia facendo un manifesto “politico” proprio chi, del PD (una possibile Penelope Democratica?), potrebbe essere un ottimo alleato idoneo alla bisogna; leggo infatti (sul Corriere di oggi, a pagina 11), che l’ottimo Vendola ha fissato, con piglio determinato e di nuovo nella fatal Vasto, le quattro condizioni perché ci sia un “vero” centrosinistra (cito però solo le due più perspicue ed esplicite): 1. rottura con il liberismo e l’austerità; 2. capovolgimento dell’agenda Monti.
Così, dopo aver menato (giusto) vanto di un sostegno leale al Governo Monti ed alle sue tessiture per sottrarre l’Italia alla più drammatica crisi finanziaria della sua storia, il PD si organizzerebbe, con alleati adatti alla sciagurata impresa, per guastarne la tela con determinazione sistematica e furia iconoclasta.
Sono sicuro che domani leggeremo, come dicono i bravi giornalisti, gli altolà del PD; temo però, sulla base dell’esperienza di questi ambigui tempi, che non saranno così determinati come il l’odierno proclama e che forse i nostri timorosi creditori non leggano le edizioni domenicali dei nostri giornali.
Sarebbe un peccato! Non vorrei che Bersani-Procuste (che cerca di allungare o di scorciare il corpo dei suoi alleati per adattarli al suo letto) diventi, domani, un Bersani-Penelope, dimostrando che la Grecia non ha detto abbastanza agli Italiani, né quella antica né quella di oggi!
Fuori di metafore mitologiche: stiamo attenti, stiano molto attenti i nostri politici, che un nuovo sobbalzo del costo del denaro per l’Italia non ci obblighi a chiedere gli aiuti che la Spagna si appresta a chiedere! Perché, se così accadesse, la capitale della nostra sovranità non sarà più nella ridente cittadina adriatica (Vasto) ma nella assai più gelida Francoforte!
Roma, 22 settembre 2012

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