Penelope
(di Felice Celato)
Narra
Omero che la bella Penelope, fedele moglie del grande eroe Ulisse e, quindi, regina
di Itaca, volendo ad ogni costo resistere alle pressioni dei Proci perché
scegliesse uno di loro e ne diventasse la moglie, abbia concepito un ingegnoso
stratagemma per sottrarsi a quello che, dato per morto Ulisse sulla via del
ritorno da Troia, sembrava essere il suo inevitabile destino: diventare la
sposa di uno di quei viziosi nobilastri che ambivano soprattutto ad
impadronirsi dello scettro dell’isola di Itaca, appunto sposandone la regina.
Dunque Penelope fece sapere ai Proci che avrebbe deciso quale di loro scegliere
solo dopo che avesse finito di tessere il sudario funebre dell’amato suocero
Laerte; e mentre di giorno si mostrava intenta alla tessitura del lenzuolo, di
notte, segretamente, ne disfaceva la tela, cosicché il lavoro mai progrediva e
Penelope poteva guadagnare tempo coltivando in cuor suo la certezza che Ulisse
sarebbe comunque tornato.
Per
la verità l’ingegnoso artifizio ad un certo punto della storia, se ben ricordo,
venne rivelato ai Proci da un’ancella infedele e solo l’arrivo di Ulisse e la
spietata vendetta che lo stesso trasse sui giovani Proci, riuscirono a
sottrarre Penelope al suo ormai inevitabile destino.
Dunque
la tela di Penolope è diventata il simbolo di un’indefessa attività di costruzione
e de-costruzione, messa in atto, con vece continua, nell’intento di posticipare
una scelta cui altrimenti si sarebbe costretti.
Fin
qui, l’antica cultura greca, che molto ha insegnato all’uomo occidentale di
tutti i tempi della storia.
Bene:
leggendo le povere cronache politiche del nostro povero Paese, stremato dai
suoi Trimalcioni, mi è sorto il sospetto che il mito di Penelope si appresti a tornare
di moda e che di esso stia facendo un manifesto “politico” proprio chi, del PD
(una possibile Penelope Democratica?), potrebbe essere un ottimo alleato idoneo
alla bisogna; leggo infatti (sul Corriere di oggi, a pagina 11), che l’ottimo
Vendola ha fissato, con piglio determinato e di nuovo nella fatal Vasto, le
quattro condizioni perché ci sia un “vero” centrosinistra (cito però solo le
due più perspicue ed esplicite): 1. rottura con il liberismo e l’austerità; 2.
capovolgimento dell’agenda Monti.
Così,
dopo aver menato (giusto) vanto di un sostegno leale al Governo Monti ed alle
sue tessiture per sottrarre l’Italia alla più drammatica crisi finanziaria
della sua storia, il PD si organizzerebbe, con alleati adatti alla sciagurata impresa, per
guastarne la tela con determinazione sistematica e furia iconoclasta.
Sono
sicuro che domani leggeremo, come dicono i bravi giornalisti, gli altolà del PD;
temo però, sulla base dell’esperienza di questi ambigui tempi, che non saranno
così determinati come il l’odierno proclama e che forse i nostri timorosi
creditori non leggano le edizioni domenicali dei nostri giornali.
Sarebbe
un peccato! Non vorrei che Bersani-Procuste (che cerca di allungare o di
scorciare il corpo dei suoi alleati per adattarli al suo letto) diventi, domani,
un Bersani-Penelope, dimostrando che la Grecia non ha detto abbastanza agli Italiani, né quella antica né quella di oggi!
Fuori
di metafore mitologiche: stiamo attenti, stiano molto attenti i nostri politici, che
un nuovo sobbalzo del costo del denaro per l’Italia non ci obblighi a chiedere
gli aiuti che la Spagna si appresta a chiedere! Perché, se così accadesse, la
capitale della nostra sovranità non sarà più nella ridente cittadina adriatica
(Vasto) ma nella assai più gelida Francoforte!
Roma,
22 settembre 2012
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