Immagina
(di
Felice Celato)
“Immagina”,
dice la pubblicità di un servizio di telefonia mobile. Bene, giochiamo anche
noi ad immaginare: immaginiamo un creditore dell’Italia (un detentore di nostro
debito pubblico) oppure un semplice, libero valutatore dello stato di
solvibilità del nostro Paese (un’agenzia di rating, per intenderci), oppure un
industriale americano o cinese che voglia investire in Italia, oppure
semplicemente un osservatore
professionale che guardi al nostro Paese per parlarne ai suoi lettori
(un giornalista internazionale, per esempio); e immaginiamo anche che questo personaggio
conosca (ahinoi!) l’italiano tanto da saper leggere i nostri giornali o ascoltare i
nostri telegiornali.
Ora,
domandiamoci: che cosa dovrebbe pensare, questo creditore o investitore o
osservatore, di un Paese del mondo occidentale dove:
- i problemi industriali vengono discussi e risolti come noi discutiamo il caso Fiat o come noi gestiamo il caso Ilva;
- i politici discutono di come “sfasciare” i provvedimenti appena approvati (da loro stessi) per uscire dalla drammatica condizione in cui versiamo, col debito che continua ad aumentare:
- la campagna elettorale dura dai sei agli otto mesi, facendo risuonare per l’aere clamorose corbellerie (il referendum sull’euro, per esempio) o plateali visceralità (come le ubbie anti-europee) o vacue prospettazioni (“centralità” di questo o di quest’altro, del cittadino, dell’impresa, del lavoro, etc), mentre non si sa ancora con quali regole si andrà a votare (perché questa è materia riservata alla decisioni “della politica”, che però non decide);
- le amministrazioni regionali (che dovevano avvicinare “il potere al territorio”) si distinguono per sprechi, scandali e trivialità di ogni genere nonché per una documentata avidità fiscale;
- la pressione fiscale è ormai vicina al 50%;
- la legge finalizzata (bene o male) a “combattere la corruzione” giace in Parlamento, bloccata dai veti incrociati;
- le nomine dei vertici delle authorities vengono bloccate appena decise;
- i processi durano il doppio di quelli che si svolgono negli altri paesi;
- i sindacati sfilano nelle piazze “contro la spending review”;
- le procedure burocratiche, come è ovvio, sopravvivono ad ogni proclamazione di semplificazione; perché le semplificazioni effettive nessuno veramente le vuole, per non perdere brani del proprio burocratico potere;
- dei partiti politici che si preparano alle elezioni, solo uno, peraltro portabandiera del populismo più sfegatato, si propone di rinnovare la classe dirigente del Paese: dagli altri (salvo contestate eccezioni) soliti volti, solite vacuità e consunte retoriche delle quali l’Italia ha già sperimentato gli effetti;
- la verità è un peccato, l’affabulazione una virtù, la responsabilità è degli altri, l’illusione uno strumento di lotta politica.
Che
cosa dovrebbe pensare, dicevamo, questo creditore o investitore o osservatore,
di un Paese del mondo occidentale dove accade tutto ciò?
Non
preoccupatevi, questo era solo un gioco dell’immaginazione!
In
realtà, il destino dell’Italia non lo fanno né i creditori né gli investitori
né gli analisti né gli osservatori internazionali.
Il
destino dell’Italia si fa a Vasto, altroché nel mondo!
Roma
28 settembre 2012
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