I masantoni (con la o chiusa)
(di
Felice Celato)
Non
occorre essere dei profondi cultori di storia patria per ricordare due
personaggi storici, lontani nel tempo fra loro di oltre 1800 anni ma entrambi,
ciascuno a suo modo, rappresentativi di due costanti culturali che ritroviamo
vive anche oggi ma – e qui sta, ahimè!, il nostro peculiare – fuse fra loro in
una curiosa simbiosi contraddittoria che mi pare incarnare non solo il “tipo”
più pericoloso di “pensiero” politico dei nostri giorni italiani ma anche un
atteggiamento psicologico assai diffuso, direi anzi popolare.
Il
primo personaggio è Tommaso Aniello, meglio noto come Masaniello, un pescatore napoletano
e contrabbandiere analfabeta che,
attorno al 1650, si trovò a capo di una molto effimera rivoluzione di popolo
contro i poteri del tempo, più o meno chiaramente intesi, al grido di “mora ‘o malogoverno!”, prima di essere
assassinato dai suoi stessi sostenitori per la stravaganza dei suoi
comportamenti.
L’altro
è il severo Marco Porcio Catone, detto il Censore (II secolo a.C.), resosi
molto famoso, fino a costituirne quasi un simbolo ideologico, durante il
periodo repubblicano della storia di Roma appunto per la severità inflessibile
dei suoi giudizi e delle sue aspre critiche contro quelli che considerava i
corrotti costumi del tempo nonché per il suo sentirsi la personificazione
vivente dello spirito delle istituzioni romane.
Questi
due archetipi, l’uno del populismo più esagitato, l’altro della più
inflessibile severità di giudizio, si trovano oggi fusi in alcuni personaggi “politici”
del nostro tempo (non occorre qui farne i nomi, tanto evidenti sono le loro
caratteristiche) ma anche – e qui sta il nostro tarlo sociologico e culturale –
in molte diffuse, labili psicologie profondamente attecchite in quella che
pomposamente siamo soliti definire “la pubblica opinione” e che invece direi
meglio “la pubblica fermentazione”: il risultato di questa fusione ha dato vita
al tipo umano dei Masantoni (da pronunciare con la o chiusa, come una crasi sillabica
fra Masanielli e Catoni), una specie di Giani bifronte che formulano asperrime
critiche politiche in nome di sacri principi della legalità e incarnano contemporaneamente un ribellismo
antilegalitario contro imposte, gabelle, dazi e quant’altro sia espressione di
un potere costituito, a loro giudizio, “contro il popolo”. Ma spesso i Masantoni esprimono anche un altro bifrontismo, di
natura – questo – più psicologica (ed etica) che “politica”, fatalmente incline
all’applicazione di un metro di giudizio esigente ed intransigente quando
rivolto al comportamento altrui (generalmente un “rappresentante” dell’establishment) ed uno, indulgente,
scanzonato ed ammiccante quando rivolto ad un “rappresentato” (e, comunque,
sempre a se stessi). Anzi, questi, sono i più diffusi soggetti della “pubblica
fermentazione”, di solito instancabili compilatori di indignate lettere ai
giornali (o di sgangherati commenti alle notizie) o frequentatori di pubbliche
manifestazioni, alla ricerca di una qualche intervistina dell’immancabile
cronistello televisivo, utile per esprimere una (sempre indignata) qualsivoglia
ma ferma opinione.
Ebbene,
oggi l’Italia mi pare largamente diventata un popolo di Masantoni, non solo nel suo milieu
“politico” ma anche (e questo è assai più grave) in quello della “pubblica
fermentazione”.
E ai
Masantoni sfugge ogni complessità di
ragionamento, ogni doveroso distinguo, ogni capacità di valutazione che non sia
drasticamente manichea, ogni sentimento che non sia di indignazione. Siamo forse
diventati un popolo di indignati senza dignità, come dal punto di vista
psicologico siamo diventati una società di “soli senza solitudine” (Censis)?
Se
questa lettura del nostro presente non è esagerata (e può benissimo esserlo!),
c’è da domandarsi due cose: (1) c’è una responsabilità della comunicazione
nella degenerazione della pubblica opinione in pubblica fermentazione? In
fondo, non è forse vero che la pubblica opinione non esiste per virtù propria
ma si determina e si coltiva con lo scambio delle opinioni, che non deve
avvenire senza il “controllo” della ragione (e, aggiungerei, della reciproca
carità, o, per dirla più laicamente, del reciproco rispetto)? (2) Se la
“pubblica fermentazione” tornasse ad essere pubblica opinione, ci sarebbe forse
da preoccuparsi dei Masantoni in
politica?
Le
mie risposte, ovviamente discutibili (come lo sono anche le domande): (1) Si.
(2) No.
Roma,
21 luglio 2012
Caro Felice, su Tommaso Aniello consiglio la lettura del libro di Rosario Villari, "Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero. 1585-1648", Mondadori, 2012. La rappresentazione mediatica di Masaniello diverge, e non poco, secondo Villari, dalla realtà storica del personaggio, certo molto contraddittorio e complesso, ma sicuramente meno ingenuo e stravagante di quanto non riportino le vulgate. Quindi, rafforzo la tua rifposta affermativa al secondo quesito. La responsabilità della comunicazione, ma direi anche e soprattutto della cultura, sul processo di degrado ideale e morale dei nostri tempi è drammaticamente elevato.
RispondiEliminaIl questito al quale dare risposta affermativa ancor più consolidata, evidentemente, era il primo
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