venerdì 20 luglio 2012

I prossimi mesi


Esami di incoscienza
(di Felice Celato)
Da tempo mi sono convinto – e la continua analisi sociologica che meritoriamente aggiorna ed illustra il Censis me ne dà il conforto e, talora, anche il supporto lessicale – che la ragione dei nostri mali sia sociologica e culturale. Non è il caso di dilungarsi qui sulle ragioni di questa convinzione, del resto più volte evocata in questi post ma anche nelle tante discussioni fra amici, anche in date  molto antecedenti: la nostra Italia di oggi mi pare, in estrema sintesi, una società divisa e dispersa, ubriaca di opinionismi dissennati, senza un pensiero collettivo, proclive ad una giocosità cinica ad ai giudizi sommari, incapace di mobilitare concreti impegni collettivi, gravemente impreparata a gestire passaggi estremamente complessi come quello che stiamo vivendo.
E il linguaggio è l’epifania tragica di questa nostra (decotta?) realtà socio-culturale (o addirittura antropologica?). Non riusciamo più a misurare le parole attribuendo loro il significato che dovrebbe essere proprio; abbiamo tanto deriso le alchimie linguistiche (ricordate, per esempio, le famose convergenze parallele?) di un passato politico che ripetitivamente apostrofiamo con alterigia derisoria (“il linguaggio del teatrino della politica”), che non solo non riusciamo più ad articolare giudizi complessi ma addirittura sembriamo voler abdicare ad ogni senso proprio delle cose, a “vantaggio” di una sincopata triturazione di “gridismi” di ogni genere, misurati solo in funzione della loro voluta, rumorosa grossolanità. E, in un loop perverso, le parole (ricordate la citazione?) generano opinioni e le opinioni danno forma ai sentimenti. I sentimenti diventano fatti.
Questo dolente contesto culturale fa da sfondo (e, ahimè, da alimento) ad un passaggio politico, economico e finanziario estremamente preoccupante, proprio in vista di quell’ormai imminente “redde rationem” politico che saranno le prossime elezioni della primavera 2013. I partiti politici – messi in “purgatorio” dalle loro stesse inadeguatezze – con qualche rara e frazionata eccezione, sembrano avvoltolarsi fra barlumi di coscienza e lampi di incoscienza, avviandosi – quod Deus avertat! – a perdere l’occasione decisiva che le circostanze hanno loro dolorosamente offerto, quella di tornare (o imparare?) a parlare ai cittadini elettori con l’unico linguaggio che può salvare la nostra società dalla catastrofe che pende su di essa, il linguaggio della verità: verità sui mali del Paese, sulle sue condizioni economiche, sulle lunghe responsabilità di tutti e sulla necessità di reciproco perdono, sui riposizionamenti necessari, sui limiti e i benefici dell’attuale situazione della nostra patria europea, sulle nostre realistiche possibilità di farcela e di farcela da soli, come, in fondo, la nostra storia, dal dopoguerra in poi, sembra meritare. Tutti, con qualche rara e frazionata eccezione, hanno paura di dirla, ‘sta verità,  pensando che sia “elettoralmente nociva”; tutti preferiscono dispensare altre illusioni, che si possa farcela senza un duro sforzo, senza scorciatoie populiste, senza un profondo ridisegno della nostra società, senza il prezzo (doloroso) da pagare ad un benessere costruito sul debito pubblico.
Ci sono sette o otto mesi (e agosto e settembre saranno durissimi!) per garantirci che le elezioni non serviranno per abbandonare la strada intrapresa, non senza qualche errore, da questo Governo, che di verità ne ha dovute dire, alcune. L’Italia del post-elezioni sarà, ne sono convinto, un Paese necessariamente diverso da quello cui ci aveva abituato la lunga pausa di tanti anni dopo lo sforzo della (vera) crescita; ai partiti, in questi sette otto mesi, sta la scelta fra i messaggi da dare agli Italiani e, in definitiva, la possibilità che questa Italia diversa che ci attende sia più sana. Purtroppo, non sono molto ottimista; ma posso sbagliare, ovviamente (….del resto – l’autoironia è d’obbligo, soprattutto quando si fanno oscure profezie –  come si diceva di un famoso economista, ho previsto almeno nove delle ultime tre catastrofi!).

Roma, 20 luglio 2013


PS: (1) qualcuno che sa di una mia breve vacanza americana potrebbe dire: ma, a questo, le vacanze fanno male? No, vi assicuro, i cinque giorni in USA sono stati piacevoli ed interessanti (è stato bello anche constatare la tanta simpatia di cui gode il nostro Paese, per qualche immagine di sé che, pure, è stato in grado di dare);…..sono i ritorni che fanno male! (2) A chi fosse sfuggito segnalo l’articolo di Galli della Loggia, sul Corriere della sera del 13 luglio.


Nessun commento:

Posta un commento