Il futuro di un paese stanco
(di
Felice Celato)
Forse
qualcuno dei miei amici ricorda un breve video della BBC che nel dicembre del
2010 avevo trovato e raccomandato a tutti (chi non l’ha visto può, credo,
ancora trovarlo su http://www.wallstreetitalia.com/article.aspx?IdPage=1046384; in
sostanza il professore Hans Rosling del Karolinska Institutet di
Stoccolma, portando indietro le lancette di 200 anni, traccia, nel video, il percorso
del benessere mondiale in 200 paesi negli ultimi due secoli realizzando
un suggestivo grafico dinamico dell’evoluzione economica del mondo.
Allora,
nel commentare i quattro minuti di macro-storia economica dell’uomo
contemporaneo, indugiammo brevemente nel considerare quanto queste dinamiche scoloravano
di senso le nostre beghe di piccolo paese di un piccolo e vecchio continente.
Oggi,
vorrei tornare sul tema con alcuni interessanti stime economiche che ho visto
formulate da una banca internazionale sulla base di dati forniti da fonti
primarie di grande affidabilità: in sostanza, stavolta, si è cercato di
guardare al futuro misurando l’evoluzione dei PIL attesi nei maggiori Paesi del
mondo per il ventennio che va dal 2010 al 2030, per tracciare una classifica di
peso economico e per vederne l’evoluzione attesa nel ventennio che viviamo.
Ebbene,
come a tutti è noto, l’Italia ha un PIL che per dimensione risultava essere,
nel 2010, il settimo del mondo (quante volte i nostri politici, forse pensando
di portarne tutto il merito, ce lo ricordano: “siamo la settima potenza
economica del mondo!”): in sostanza prendendo in esame i 13 paesi più ricchi,
noi ne abbiamo 6 davanti (USA, Cina, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito)
e 6 dietro (Brasile, Canada, Russia, India, Spagna e Messico). Siamo cioè,
per dirla calcisticamente, al centro della classifica. Bene: questo nel 2010,
su dati consuntivi. Questa “classifica” è stata poi proiettata sulla base dei
dati attesi per il 2030 (cioè, ormai, fra “soli” 18 anni) e questi sono alcuni
risultati: gli Stati Uniti non saranno più primi, ma secondi, fra la Cina
(prima) e India (terza); il Giappone non sarà più terzo ma quarto, prima di
Russia, Brasile e Regno Unito, mentre la Germania da quarta diventerà ottava,
la Francia da quinta decima. E l’Italia? L’Italia non ci sarà più fra le
tredici più grandi economie del mondo, scomparirà dal monitor delle economie più importanti , anche il Messico, la Korea
ed il Canada la sopravanzeranno.
Conosco
buona parte delle obiezioni che si possono fare alle suggestioni di questo
discorso, prima fra tutte che il futuro è nelle mani di Dio (e va bene!), poi
che il PIL non esprime appieno la felicità di un popolo, poi che bisognerebbe
vedere i dati pro-capite, poi che in
fondo l’ascesa di paesi come i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) è già da
tempo scontata, etc. etc. etc. Tutte cose vere, intendiamoci. Ma vorranno dire
qualcosa questi dati? O no?
A me
sono sembrati eloquenti, tanto più significativi, anzi, quanto più si rifletta
– ancora una volta – sulla qualità delle cose che ci occupano ogni giorno sui
giornali; e sulle diverse dinamiche che l’evoluzione del mondo riserva a noi, non
solo nei confronti dei nuovi paesi ricchi ma anche di quelli con cui più spesso
ci confrontiamo (Germania, Francia, Regno Unito).
Nel
2030 avrò (se ci sarò) 81 anni, i miei figli ne avranno 57 e 54; mia nipote che
allora avrà 20 anni potrà dire: “quando sono nata l’Italia era una potenza
economica; allora sì che si stava bene. Mi raccontava mio nonno che in famiglia
ognuno aveva una macchina…..”
Roma
12 maggio 2012
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