Spending review
(di Felice Celato)
L’attenzione
che i media (giustamente, stavolta)
dedicano all’argomento e le polemiche sorde ma verbose che circolano fra approccio dei
“tecnici”, che forse talora sottovalutano la complessità del tema, e approccio
dei “politici”, che si baloccano con argomentazioni elusive (quando si parla di
tasse invocano non meglio precisati
tagli di spesa, quando si progettano concreti tagli di spesa tornano ad invocare una tassa, magari
patrimoniale, su non meglio identificati “ricchi”, e così via di fuga da realtà
in fuga dalla realtà), mi hanno indotto a soffermarmi con maggiore attenzione
su un tema che – in parte lo sapevo, in parte l’ho scoperto – mi pare intriso
di sconoscenze, approssimazioni grossolane, credulonerie e strumentalizzazioni.
Un
approccio serio alla materia mi è sembrato – e, devo dire, che me lo aspettavo
– quello adottato in un difficile documento del Prof. Piero Giarda, Ministro
dei rapporti col Parlamento (Elementi per
una revisione della spesa pubblica, l’edizione che ho trovato su internet è
del 1° maggio e suppongo non sia ancora quella definitiva; va letto con molta attenzione e col conforto
di una calcolatrice; ricostruire come si fanno i conti è cosa sommamente
istruttiva!), dal quale ho tratto queste supersintetiche conclusioni e qualche mia opinione:
- la cosiddetta spesa aggredibile (cioè quella dalla quale ha senso concreto attendersi significativi risparmi) vale circa il 35% (300 €mildi) dell’intera spesa dello Stato (circa 800 €mildi/anno interessi compresi);
- per effettuare questa “aggressione” occorre: (a) eliminare gli sprechi; (b) modificare le procedure di spesa; (c) fare interventi “marginali” sui confini dell’intervento pubblico; (d) fare interventi “radicali” sui confini dell’intervento pubblico;
- la spesa aggredibile a breve, quindi con interventi del tipo (a) o (c), vale circa un terzo di quei 300 €mildi, diciamo un novantina di €mildi (singolare notazione del documento è che negli ultimi 30 anni il costo di produzione dei servizi pubblici è aumentato più del costo dei consumi privati! Ci sarà pure una ragione, o no?); per il resto - interventi di tipo (b) e (d) – beh….occorre attrezzarsi (culturalmente e politicamente);
- rispetto a questa esigenza di breve periodo “non è facile innovare” rispetto alla procedura dei tagli lineari (di Tremontiana, deprecata memoria);
- rispetto all’ esigenza di più largo respiro occorrono tempi medi e una disponibilità a ripensare seriamente molti dei modi in cui abbiamo organizzato il nostro Stato (rapporti centro-periferia), le sue procedure funzionali e, soprattutto, le sue aree di intervento.
Ce
n’è abbastanza per il lavoro, necessariamente a breve (perché, fra l’altro,
urgente), dei “tecnici” e per quello, di più lungo respiro, dei “politici”.
Solo che si voglia e si riesca ad essere seri (e, per dirla tutta come me la
sento, non è certamente con le mail
della “ggente” che si è seri! Queste cose lasciamole fare ai capi-popolo! Ci
sono già documenti sufficienti per lavorare, senza dare la stura all’opinionismo
istantaneo cui il Paese è, peraltro, pericolosamente proclive!). Ce n’è abbastanza anche per un
sincero esame di coscienza (dei “politici”, stavolta, e di chi li ha eletti) su
come sono state concepite e realizzate certe riforme (volute o fatte per
ragioni elettorali) che sono state presentate come “svolte storiche” (per
esempio: la sanità regionalizzata!).
Sul
piano dei “ripensamenti” del tipo (d), cioè interventi “radicali” sui confini
dell’intervento pubblico, quelli che sarebbero il compito precipuo della
politica (o meglio della nuova politica che spero
per dopo “il purgatorio”), torno a segnalare un altro documento che è interessante
rileggere e meditare (Perché l’Italia non
si spenga, del professor P. Capaldo, leggibile sul sito www.perunanuovaitalia.it)
ove si parla, con competenza e lungimiranza, della “rivoluzionaria” possibilità di autorganizzare alcune delle funzioni
che lo Stato non ha saputo organizzare con efficacia, efficienza e attenzione
alla qualità (anche umana) di certe sue prestazioni: l’alternativa, come dice
efficacemente il documento (pag. 8 e seguenti), non è fra più Stato e meno Stato, ma per uno
Stato diverso. Il tutto, per evitare
(l’altrimenti inevitabile) declino.
Roma,
6 maggio 2012
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