venerdì 25 marzo 2022

La complessità del reale

….e gli incomprimibili iati

(di Felice Celato)

Come, credo, tutti noi, seguo – con ansia, compassione, fatica, sdegni per quel che vedo e timori per quel che presagisco – l’evoluzione e l’involuzione della crisi Ucraina. Quando questo orribile squarcio di Novecento si è aperto davanti a noi nel nostro secolo, non ho avuto pudore (cfr. Tragiche emozionipost del 27 febbraio u.s.) nel confessarmi emozionato e confuso (ma, forse, l’emozione non è già una forma di confusione della ragione?) nel considerare gli eventi, mentre ci scorrono davanti, nella guerra in diretta, le immagini tragiche di morti, distruzioni insensate, sofferenze indicibili e convogli di profughi. 

Ancorché ormai provvisto di molte verità dei tanti virologi della guerra (professionisti e dilettanti) che hanno allineato articoli su articoli per esternare opinioni, radiografare le cause degli eventi (dichiaratamente note), individuare presunte certezze e formulare argomentate aspettative, a distanza di un mese non mi sento,  per la verità, meno confuso ed emozionato; forse – come è stato brillantemente notato (Lorenzo Tomasin, Ostinati meteorologi della storia, in Ucraina, una ferita al cuore dell’Europa, Il Mulino, 2022) –  uno dei grandi guasti prodotti dalla guerra – vero scacco della ragione - è che quando essa incombe non è possibile, forse né tacere giudiziosamente né parlare saggiamente

Del resto, anche la comprensione (intesa come acquisizione di una affidabile lettura della genesi e della manifestazione dei fatti), mai come quando scendono in campo anche drammatiche passioni è naturalmente soverchiata dalla inestricabile complessità del reale; anche quando ad esporla – la presunta comprensione – sono impegnati i virologi o i meteorologi di cui dicevamo poc’anzi. Se possibile, infine, lo scenario si complica enormemente quando la comprensione è “guidata” da letture ideologiche (coscienti o incoscienti) della storia. 

D’altra parte, non credo che i sei milioni di ebrei, mentre camminavano verso l'olocausto, possano  aver trovato ragioni di assoluzione dello sterminatore (o magari solo di conforto intellettuale) nella lettura del notissimo libro di J.M. Keynes (The economic consequences of the peace) sugli errori commessi dai vincitori della I guerra mondiale con le durissime riparazioni dei danni di guerra imposte ad Austria e Germania, dalle quali forse è stato generato il mostro nazista.

Ancora di più, l’inestricabile complessità della storia mentre si fa entra in stridente conflitto con la semplificazione del reale che è naturalmente  - direi: ontologicamente - sottesa ad ogni pur necessaria ricerca di vie d'uscita. Chiunque abbia operato qualcosa in contesti complessi, quand'anche non così drammatici come i presenti, ha sperimentato come ogni azione concreta implichi di per sé una (rischiosa) semplificazione del reale, non foss’altro per solo classificare (fra decisivi, rilevanti o irrilevanti nel concreto dell'azione) gli elementi che la comprensione del reale ci pone davanti; senza con ciò esimerci dall'azione quando questa è, anche solo moralmente, doverosa; né sottrarci ai rischi dell'agire.

Credo sia questo incomprimibile iato, fra complessità del reale ed azioni concretamente avviate o da avviare per evitare il disastro, che mi porta però a sospendere ogni (personale e definitivo) giudizio sulle reazioni che il mondo occidentale sta mettendo in campo per contenere (e anche reprimere!) questa terrifica mossa della Russia, le cui disastrose e inumane conseguenze ci scorrono quotidianamente davanti agli occhi attoniti. Quindi non entro nella competizione fra le diverse qualificazioni delle “pazzie” delle reazioni, con cui quotidianamente alimentiamo ogni eccesso delle parole.

Nel giorno della festa cardine della religione cattolica (l’Annunciazione e il concepimento del Salvatore), mentre scorro la bella preghiera papale di affidamento della Russia e dell’Ucraina allo sguardo misericordioso della Regina pacis, mi tornano anche in mente – come fossero un grido che viene da Mariupol – le ultime righe di quel disperato e capitale messaggio a Dio raccontato dall’ebreo Lituano Zvi Kolitz (Yossl Rakover si rivolge a Dio, qui segnalato in Letture del 7 febbraio 2013), e scritto nel ghetto di Varsavia il 28 aprile del 1943 tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane: …. Hai fatto di tutto perché non avessi più fiducia in Te, perché non credessi più in Te. Io invece muoio così come sono vissuto, pervaso di un'incrollabile fede in Te. Sia lodato in eterno il Dio dei morti, il Dio della vendetta, della verità e della giustizia, che presto mostrerà di nuovo il Suo volto al mondo e ne scuoterà le fondamenta con voce onnipotente. Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Nella tua mano, Signore, affido il mio spirito.

Roma, 25 marzo 2022

 

 

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