domenica 6 marzo 2022

Un profilo del tempo

 La dignità di un nazionalismo culturale

(di Felice Celato)

Devo all’ansia di evasione di questi giorni para-bellici (nel senso già detto l’altro giorno) la lettura di un breve saggio di George Orwell Sul nazionalismo (Lindau, 2022, ma l’originale ovviamente è di molti anni fa, del 1945). Per nazionalismo – scrive Orwell – intendo soprattutto quell'abitudine a pensare che gli esseri umani possano essere classificati come insetti e che interi blocchi di milioni o decine di milioni di persone possano tranquillamente essere etichettati come “buoni” o “cattivi”…. Il nazionalismo non deve essere confuso con il patriottismo. Entrambe le parole sono normalmente utilizzate in modo così vago che ogni loro definizione può essere messa in dubbio, ma è necessario distinguerle dal momento che esprimono due idee differenti o addirittura opposte. Per “patriottismo” intendo la devozione a un luogo o a uno stile di vita particolari, che vengono considerati i migliori al mondo ma che non si ha il desiderio di imporre ad altri. Il patriottismo è per sua natura difensivo, tanto militarmente quanto culturalmente. Al contrario, il nazionalismo è inseparabile dal desiderio di potere. L'obiettivo costante di ogni nazionalista è quello di assicurarsi maggior potere, maggior prestigio, non per sé stesso, ma per la nazione o per quell'altra unità nella quale ha deciso di dissolvere la propria individualità.

Fin qui la citazione; dico subito che il saggio per molti aspetti non mi ha convinto, ma mi ha fatto riflettere, soprattutto quando considera il nazionalismo nella sua dimensione meta-patriottica, cioè riferendolo ad entità più vaghe o (per meglio dire) più ampie del proprio “paese” o “paesello” che sia.

Bene: posto che considero il patriottismo (secondo l’accezione Orwelliana: la devozione a un luogo o a uno stile di vita particolari, che vengono considerati i migliori al mondo) come un residuo di mentalità otto-novecentesca, provinciale e ormai del tutto fuori del tempo nella sua dimensione territoriale e quasi valligiana, mi domando se, oggi, hic et nunc, non abbia, invece, senso un nazionalismo culturale, inteso come profondo senso di appartenenza ai valori ed al pensiero che permeano la nostra civiltà Europea e lato sensu occidentale; un senso di appartenenza che, tuttavia, non implica (e, per sua natura, non potrebbe implicare), come sembrerebbe pensare Orwell, alcun desiderio di potere.

Giova qui, forse, per meglio delineare il concetto, citare la premessa a firma congiunta dei due autori (Angelo Panebianco e Sergio Belardinelli) dell’ottimo saggio (All’alba di un nuovo mondo, Il Mulino 2019) già segnalato su queste pagine in Letturepost del 15 maggio 2019. Scrivono i due nostri (sottolineature mie): condividiamo, in primo luogo, l'idea che la civiltà liberale, coi suoi principi, con le sue istituzioni, con le sue regole, sia il più importante “dono” dell'Europa moderna al mondo. Per entrambi, si tratta del frutto maturo della tradizione cristiana. È nata in Europa, e poteva nascere solo in Europa, proprio in ragione delle sue origini cristiane. La civiltà liberale – ne siamo ben consapevoli – non ha mai trovato piena realizzazione, nemmeno nella sua culla europea. L'Europa resta ben lontana dall'aver dato compiuta attuazione a quell'insieme di ideali ed istituzioni. Tuttavia, pur con tante gravi imperfezioni e limiti, l'Europa, unitamente a quel mondo occidentale che ne una diretta filiazione, ha dato comunque vita, ispirandosi a quegli ideali, a società più vivibili di altre, ove “libertà” e “dignità” non sono solo parole vuote.

La mente mi corre inevitabilmente all’immagine Ratzingeriana dei tre colli (quelli emblematici di Atene, di  Gerusalemme e di Roma), fonti dell’identità spirituale e culturale Europea. Ma allo stesso tempo mi sorge la domanda se, dei valori di tale identità, ci siano, nei nostri animi e nelle nostre menti, la piena e diffusa coscienza e la mite fierezza che questa merita di suscitare.  I tragici eventi di questi giorni ci dicono con chiarezza che, ai “confini” del nostro mondo, essi costituiscono, sui due fronti, rispettivamente l’agognato modello ed il vero nemico. L’eroica resistenza dell’Ucraina ci sta forse mostrando quello che, di noi, assai più dovremmo apprezzare.

Roma  6 marzo 2022

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