lunedì 14 luglio 2014

Riproviamo

Quando, tre mesi fa, decisi di sospendere questo piccolo flusso di conversazioni asincrone, non avevo, forse, valutato quanto mi sarebbero mancate queste occasioni di riordinare, per me soprattutto e per qualche amico che mi legge, i molti scontenti e le piccole consolazioni (qualche libro, qualche episodio divertente, qualche raro motivo di speranza) del presente di cui parliamo. Tre mesi dopo, alle soglie della solita pausa annuale d’agosto, riprovo a riprendere il filo…delle lamentele, nella tenue speranza che le piccole consolazioni crescano: vedremo, forse sarà solo un esercizio per attenuare i silenzi delle calure.
Scomunicazione
E’ fin troppo noto a chi mi corrisponde che se c’è una cosa che mi fa impazzire di rabbia è la diffusa propensione al “luogocomunismo”, cioè al “concepire” e diffondere spiegazioni banali e semplicistiche che – appunto per la loro semplicità –  facilmente innamorano di sé chi ha rinunciato a pensare criticamente ed a far uso anche di elementari fonti di informazione per vagliare quanto viene propalato.
I luoghi comuni (le lofty platitudes, come direbbe un americano) vengono poi rimbalzati con lagnosa petulanza per concentrare le responsabilità dei problemi più fastidiosi su qualcosa di lontano ed indefinito (l’Europa, i mercati, le banche, etc), per negarsi una piena – e magari dolorosa – conoscenza dei problemi o per dissimulare le responsabilità effettive di tali scomodi problemi, celandole sotto slogan di facile presa e di nulla consistenza.
I media ed i politici/politicanti fanno largo uso di questa tecnica, tanto largo che essa penetra inavvertita nel linguaggio di molti diventando quel senso comune (quel comune pensare, quel diffuso convincimento, quella pubblica opinione) che, come scriveva il Manzoni, fa spesso tanta paura al buon senso e che – come aggiungerei io – macera le nostre teste e fa la fortuna dei mille populismi di cui soffriamo: gli esempi, perciò, potrebbero essere tanti, antichi e recenti; ma non credo che valga la pena di ritornarci sopra, tanto la “battaglia” mi pare perduta (e del resto qui ed in conversazioni private ne abbiamo parlato già tanto).

Allora aggiorno la triste riflessione con un tema nuovo che, in questi tre mesi, ha preso – mi pare – una consistenza rituale tanto pericolosa come il “luogocomunismo”: il parlare indiretto con inversione di destinatario. Mi spiego meglio: una volta del parlare indiretto si diceva comunemente che chi lo pratica “parla a nuora perché suocera intenda”. Oggi invece si tende a parlare a nuora perché suocera NON intenda, e questo è – sempre per dirla col Manzoni – “l’Olivares” della scomunicazione, cioè il meglio della comunicazione decettiva. Qualche esempio? Bene, è facile (purtroppo): il nostro brillantissimo Presidente del Consiglio, quando si occupa di economia e di situazione finanziaria del Paese, si rivolge all’Europa (a proposito: non sarebbe meno astratto e più serio, dire: ai nostri soci coi quali abbiamo stipulato dei trattati?) o ai mercati (a proposito: non sarebbe meno astratto e più serio, dire: ai creditori preoccupati?) con termini ed argomentazioni che – tutt’al più – possono interessare la “nuora” (cioè gli Italiani più suggestionabili) ma che per partners e creditori (le “suocere”) non hanno alcun significato e, comunque, nessuna importanza. Come facciamo le leggi o come scegliamo i nostri legislatori è del tutto irrilevante per partners e creditori perché il nostro problema (che desta le loro fondate preoccupazioni) non è come facciamo le leggi ma che leggi facciamo e, soprattutto, come le attuiamo (essendo già troppe le leggi che facciamo e assai poche quelle che rendiamo praticabili); né come scegliamo i legislatori ma chi scegliamo per legiferare.
Perciò, queste “riforme” non costituiscono – ove mai abbia senso questo slogan – nessun termine di scambio con la famosa flessibilità (leggasi: autorizzazione a fare altro debito); lo costituirebbero invece le riforme della non sostenibile e tardigrada onnipresenza dello Stato nella vita del Paese; ma di queste non mi pare si parli.
E ancora: dire che “non abbiamo paura dei mercati”, oltre che essere una clamorosa baggianata (ricordiamoci quanto – giustamente – ci terrorizzava il famoso spread)  è, soprattutto, inutile, perché – checché noi se ne dica – semmai il problema è che  sono i mercati che possono avere paura di noi, come ogni creditore che assista al continuo crescere del suo credito ed al continuo contrarsi delle condizioni economiche del debitore. Può, invece, forse, far piacere ad una nuora credulona ma alla suocera intelligente non interessa per niente. E non c’è niente di peggio che sottovalutare l’intelligenza delle suocere!
Roma, 14 luglio 2014 (225° anniversario della presa della Bastiglia)

PS:Bene: appena finito questo breve scritto, mi sono convinto che, forse, non ne sentivate nostalgia! Io sì, però!


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