Il principio di
realtà
(di Felice Celato)
Il
principio di realtà, credo di ricordare, in psicoanalisi è quella chiave di
lettura del mondo che, con l’età adulta, prende il posto del principio di
piacere/dispiacere che regola le pulsioni dell’infanzia.
Almeno
nel nostro Paese, da tempo, nei media,
nei discorsi dei politici, nello convinzioni di molti di noi, il principio di
realtà è stato gradatamente soppiantato dal principio di percezione (ci siamo
perfino inventati la temperatura percepita che ci consente di modificare anche
la misurazione del caldo e del freddo), una specie di riedizione “adulta” del
principio di piacere/ dispiacere: non è vero quel che è reale ma è vero quel
che percepisco della realtà. E quel che percepisco della realtà è quello che alle
nostre menti infiacchite dal reale viene convogliato da media e politici per formare
quel “senso comune” (o pubblica opinione) sul quale si basa il consenso (dei
lettori e degli elettori).
Gli
esempi potrebbero essere tanti, ed alcuni li abbiamo già menzionati in questo
blog. Proviamo a farne alcuni altri: dalla famosa negazione della crisi in base
al (presunto) affollamento dei ristoranti, al mantra dell’ Europa che “ci ha lasciato soli nell’affrontare i
problemi dei rifugiati”, al “che ci frega a noi dello spread”, al più recente “che la crescita sia lo 0,4 o 0,8 o 1,5%
non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone”
(Renzi ad Alan Friedman sul Corriere di venerdì scorso), etc.. Il tutto per
confondere, eludere, allocare fittiziamente le responsabilità, creare nuovi idola tribus, e così via. Persino in
ambito chiesastico il “papafranceschismo” – autentica mina sul percorso
comunicativo del Papa Francesco – ha preso campo anche sui media più tradizionalmente anticlericali e da lì si è esteso a gran
parte della pubblica opinione, anche di parte cattolica.
Difendersi
da questi “bombardamenti” è cosa oltremodo difficile, riconosciamolo; ma,
forse, non tanto da precludere assolutamente, con un po’ di (faticosa, lo
riconosco) attenzione critica, l’anticipata percezione di ostacoli che non
possiamo eludere; e, sicuramente, non tanto da precludere la percezione del
reale, quando il reale, come è sua natura, piano piano, implacabile, disvela
gli inganni delle percezioni artefatte.
Bene.
Ancora una volta (e poi dite che sono pessimista! Non è vero! Forse sono
solo uno che si ricorda quel che s’era detto e fatto credere), io sono convinto
che il prossimo autunno possa essere un
crocevia importante: o la realtà o un’altra, ulteriore estensione della percezione
(artefatta). Sulle sorti di medio termine del nostro Paese peserà in maniera
drammatica la scelta della strada da intraprendere.
A
scanso di equivoci vorrei precisare meglio la mia opinione: questo Governo ha
in sé gli stamina (in italiano: il
vigore) per prendere con risolutezza la strada giusta, magari facendo leva su
un auspicabile successo dei primi (accidentati) passi sulla via delle “riforme”
e portando a casa la vistosa ma poco efficace (ai fini della ripresa economica
ed occupazionale) riforma del bicameralismo perfetto. Ma deve, secondo me,
cambiare radicalmente il suo modo di comunicare, sottraendo se stesso e gli
Italiani dal rischio di ulteriori auto-inganni: il nostro problema è lo
statalismo culturalmente radicato nelle nostre mentalità; per affrontarlo
occorre – l’abbiamo detto tante volte invano – anzitutto dire la verità sul perimetro di uno stato sostenibile (ed agire, poi, nei
confronti di quella, da adulti conseguenti), senza ulteriori infingimenti,
senza gettare il cuore al di là dell’ostacolo (cosa oltremodo pericolosa quando
la testa non è attaccata al cuore), senza fissare date troppo brevi, perché il
sentiero è lungo e faticoso e difficile. Ma è ancora un sentiero percorribile.
Se lo si abbandona, non ci sarà, temo, né tempo né spazio per tornare indietro
da quello sbagliato.
Roma,
27 luglio 2014
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