domenica 6 aprile 2014

Riservato ai non laici

Domenicalia
(di Felice Celato)
Oggi ho ascoltato due omelie, per una serie di ragioni direi casuali, anche se io sono da sempre un appassionato del “genere” e – se fossero tutte belle – non esiterei a sentirmene anche tre: una, quella ormai per me classica di ogni domenica e che, sempre per me, ne costituisce il centro; un’altra, di uno sconosciuto predicatore, presumo gesuita (entrambe le omelie erano tenute al Gesù di Roma) che ha svolto una considerazione sul testo, che mi ha molto colpito.
La pericope odierna, come sanno tutti quelli che oggi sono andati a messa (suppongo, quindi, quasi tutti i miei lettori!) è il brano del vangelo secondo Giovanni sulla resurrezione di Lazzaro (11,1-44). Osservava il predicatore che Gesù, informato della malattia dell’amico, per dirla col nostro linguaggio, se la prende comoda (“si fermò ancora due giorni nel luogo in cui si trovava”, 11,6); poi decide di andare, sapendo già che Lazzaro era morto (11,14). Dunque, arrivato a casa del morto, non ci sarebbero state “ragioni” nuove per la Sua intensa commozione, notata invece esplicitamente dall’evangelista. Eppure Gesù si commosse profondamente (11,33 e 11,38). E’ consolante pensare, ha detto pressappoco il predicatore, che Gesù si sia commosso, starei per dire, più che per la morte di Lazzaro, per il dolore delle sue sorelle; consolante soprattutto per chi ha sperimentato (magari di recente) la tristezza dei lutti e la solitudine che lasciano addosso.

Roma, 6 aprile 2014

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