Domenicalia
(di Felice Celato)
Oggi
ho ascoltato due omelie, per una serie di ragioni direi casuali, anche se io
sono da sempre un appassionato del “genere” e – se fossero tutte belle – non
esiterei a sentirmene anche tre: una, quella ormai per me classica di ogni
domenica e che, sempre per me, ne costituisce il centro; un’altra, di uno
sconosciuto predicatore, presumo gesuita (entrambe le omelie erano tenute al
Gesù di Roma) che ha svolto una considerazione sul testo, che mi ha molto
colpito.
La
pericope odierna, come sanno tutti quelli che oggi sono andati a messa
(suppongo, quindi, quasi tutti i miei lettori!) è il brano del vangelo secondo
Giovanni sulla resurrezione di Lazzaro (11,1-44). Osservava il predicatore che
Gesù, informato della malattia dell’amico, per dirla col nostro linguaggio, se
la prende comoda (“si fermò ancora due
giorni nel luogo in cui si trovava”, 11,6); poi decide di andare, sapendo
già che Lazzaro era morto (11,14). Dunque, arrivato a casa del morto, non ci
sarebbero state “ragioni” nuove per la Sua intensa commozione, notata invece esplicitamente dall’evangelista. Eppure Gesù si commosse profondamente (11,33 e
11,38). E’ consolante pensare, ha detto pressappoco il predicatore, che Gesù si
sia commosso, starei per dire, più che per la morte di Lazzaro, per il dolore
delle sue sorelle; consolante soprattutto per chi ha sperimentato (magari di
recente) la tristezza dei lutti e la solitudine che lasciano addosso.
Roma,
6 aprile 2014
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