Il mondo di ieri
(di Felice Celato)
Certo è curioso segnalare un libro, sconsigliandone, al tempo stesso e per il momento, la lettura (questo è il senso del punto interrogativo, nel titolo di questo post). Però è questo il sentimento che mi ha suscitato il corposo testo (quasi 400 densissime pagine, anche scritte con caratteri poco adatti ai presbiti, un vero inno agli ebook con caratteri liberamente dimensionabili!) di Stefan Zweig dal titolo paradossalmente attuale, Il mondo di ieri (Mondadori, 2023).
Si tratta di una specie di argomentata storia autobiografica dei pensieri e dei sentimenti di un grande (e controverso) letterato, scritta nel 1942; pensieri che hanno lentamente supportato la tragica decisione dell’autore di darsi la morte insieme alla sua seconda moglie, nell’esilio sudamericano nel quale l’autore aveva invano cercato un rifugio dalle sue drammatiche percezioni di un tempo ormai finito col travolgimento di un mondo che, fra le due guerre mondiali del ‘900, era andato via via sgretolandosi, fino alla tragedia della II guerra mondiale. Tragedia mondiale, certamente, ma, nella specifica percezione di un austriaco, anche e soprattutto, atto finale di quella finis Austriae, che aveva infiammato di nostalgie anche Joseph Roth nei suoi straordinari racconti (soprattutto La marcia di Radetzky e La cripta dei cappuccini).
Il libro di Zweig si raccomanda, oltreché per la qualità della prosa, per la drammatica organizzazione narrativa delle sensibilità del mondo dell’autore, uno scrittore di cultura europea, largamente tradotto in tutte le lingue del nostro continente, per molti aspetti divenuto cittadino del mondo, con le radici ben piantate in quel mondo della sicurezza che allora gli appariva l’amata patria mentre la storia la travolgeva. (*)
Però, come dicevo all’inizio, raccomando al lettore curioso di rinviare la lettura a tempi meno agitati dei presenti (se mai ve ne saranno); perché il testo certo non fa bene a chi vuole sperare che sia sbagliata la famosa sentenza di Shakespeare che ho ritrovato in inglese (dopo averla conosciuta tanti anni fa in Italiano) nel testo di Zweig: so foul a sky clears not without a storm ( un cielo così cupo non può schiarire senza una tempesta).
Di questi tempi OCCORRE sperare che non debba arrivare quella tempesta che il mondo, nei suoi vari scenari, sembra voler costruire ogni giorno, con intensa ed inesauribile lena: la guerra in atto alle porte dell’Europa, la crisi mentale degli USA, le instabilità politiche Europee, l’eterna crisi mediorientale, il poco rassicurante imperversare di fanatici teocrati ed autocrati, etc.etc..
E Zweig non è l’autore adatto per fugare queste ansie; semmai, se proprio non si vuol attingere alla promessa cristiana sulla storia (ecco, io sono con voi tutti giorni, fino alla fine del mondo, Mt 28,20), consiglierei di riscoprire il genere letterario latino delle Consolationes (composizioni filosofico-letterarie scritte per consolare sé o altri di qualche dolore, come recita la Treccani); di questo ultimo consiglio, però, non garantisco il risultato. Del primo, invece, conosco bene i limiti che la libertà dell’uomo pure riesce a frapporre all’assistenza del Padre Celeste; ma credo fermamente che, nonostante tutto (e tutti noi), ad essa è affidata la nostra speranza.
Roma, 29 giugno 2024, SS. Pietro e Paolo, auguri a tutti i Pietri e i Paoli.
(*) Se proprio un postumo appunto si volesse fare al libro, si potrebbe dire che l’Autore trascura proprio un precetto che lui stesso raccomanda agli scrittori (cfr. pg 272 e sg), quello della non prolissità. Ma – mi sono detto alla fine del libro – non si può chiedere a chi è lucidamente disperato di essere breve nel narrare la propria disperazione; perché la narrazione – anche prolissa – è forse la prova di una disperazione che fatica ad accettarsi come tale.
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