mercoledì 17 aprile 2024

Esercizio di ottimismo

L’Europa che verrà

(di Felice Celato)

Da molto tempo, ormai, ho smesso di “appassionarmi” alle vicende politiche ed elettorali italiane: la povertà di idee, le selvagge fiere della banalità, l’estesa inaffidabilità e spesso irresponsabilità dei messaggi che si convogliano verso elettorati superficiali ed emotivi,  sono tutti elementi che mi tolgono persino la voglia di parlarne (*). 

Una circostanza però, ad una cinquantina di giorni da quello che considero un passaggio elettorale di decisiva importanza per il nostro futuro, mi induce ad esercitarmi in uno sforzo di ottimismo. 

Chi – malgrado tutto – almeno sfoglia i giornali, avrà avuto modo di notare il rilievo che ha avuto il discorso di Mario Draghi alla High-Level Conference sui diritti sociali, tenutasi ieri in Belgio. Non ostanti alcuni commenti, ispirati – come spesso accade da noi – da faziosa malignità e da preconcetta ostilità alla sostanza di quei concetti, mi pare che si vada cogliendo il salto di qualità (e anche di quantità) che Draghi sta proponendo a livello europeo sul futuro dell’Unione Europea, con singolare chiarezza di linguaggio e con il peso del fondato prestigio di cui gode; un salto di qualità che i mutati scenari geopolitici ed economici del mondo impongono ma che, ovviamente, non può realizzarsi se ne manca la percezione di necessità e la volontà di darvi corso, con tutta l’urgenza del caso. Percezione e volontà che non risiedono in qualche astratto ufficio di Bruxelles o di Strasburgo o di  Francoforte (**); ma, invece, risiedono nelle stanze delle politiche di ciascuno dei membri dell’Unione e, quindi e soprattutto, nelle urne cui si recano i rispettivi cittadini.

Ecco: in vista del passaggio elettorale cui accennavo all’inizio, mi pare doveroso esercitarmi, come dicevo, in uno sforzo di ottimismo: nonostante la perdurante confusione degli schieramenti politici che scenderanno in campo per tale passaggio elettorale; nonostante la difficoltà di liberare le menti dalle nebbie nelle quali abbiamo coltivato la (ahimè) diffusa percezione dell’Europa, cui pure, invece, tanto dobbiamo; nonostante la radicata indifferenza e la propensione all’omissione della nostra società (Cfr. Censis: La tentazione del tralasciare, 6 aprile 2024); nonostante tutto ciò, dal tasso di partecipazione del Paese nella elezione del 6 giugno e, soprattutto, dal grado di coinvolgimento emotivo ed intellettuale nel ri-disegno dell’Europa che verrà, dipenderà – secondo me – il nostro futuro economico e politico. E in questo contesto, anche il fatto di poter contare su un pensiero forte ed autorevole sia in Italia che in Europa e nel mondo, mi pare possa essere una ragione per sperare che stavolta dalle urne possa emergere – se non una congerie di uomini o donne eccellenti –almeno la percezione forte che l’Europa conta per noi più assai di qualsiasi altro aggregato politico o sociale.

Roma, 17 aprile 2024

 

(*) segnalo una lucida ma deprimente lettura [di Veronica de Romanis Il pasto gratis – Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti), Mondadori, 2024], che raccomando a tutti, anche a non specialisti della materia, perché l’autrice, oltre ad essere (rara avis!)  molto competente in ciò di cui parla, ha anche il dono di essere una divulgatrice abile ed efficace. Il suo libro è una sconsolata panoramica dell’ultimo decennio politico italiano, del quale, nella materia de qua, quasi nulla si salva. L’unica obiezione che faccio alla sua ricostruzione meriterebbe una nota a parte, ma non mi va di farla qui perché necessiterebbe di uno spazio che queste righe non consentono: essa concerne un ben noto concetto usato a Rimini, nell'agosto 2020, dal non ancora Presidente del Consiglio Mario Draghi (il famoso “debito buono”); concetto che, a mio giudizio, è semplicemente giustissimo (starei per dire: di elementare evidenza) ancorché – lo riconosco – pericoloso da mettere in mano a politicanti finanziariamente irresponsabili quali sono molti dei “nostri”.


(**) per intenderci: quegli uffici che di volta in volta prendiamo di mira per lamentare l’inefficacia o addirittura l’ostilità dell’Europa verso le sacrosante aspirazioni della nostra “nazione”, fiera del suo parmigiano ma dimentica delle infinite volte in cui, per prima, proprio in materia di finanza pubblica, l’Italia si è sottratta al suo dovere di solidarietà dei comportamenti fiscali e di rispetto autentico delle regole che essa stessa ha approvato; anche su questo, vedasi il libro sopra citato.

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