mercoledì 16 febbraio 2022

Spigolature classiche

 Scrivere, di questi tempi

(di Felice Celato)

Scrivere, anche solo per chiacchierare fra amici, di questi tempi mi è oltremodo faticoso: sono estremamente preoccupato per gli andazzi sociologici e psico-politici del nostro paese, che si frastorna di bonus, di slogan, di pre-elettoralismi dissennati, di isterie collettive amplificate da una stampa sempre meno pensosa, di una stanchezza delle menti e delle emozioni, che mi paiono – tutte insieme – sempre più pericolose (almeno per il prossimo futuro, quando questo governo sarà – temo – soverchiato da queste pulsioni).

Eppure, per mantenere una linea di comunicazione che valga a superare la noia angosciosa, mi rimetto alla tastiera, con qualcosa destinato – almeno nelle intenzioni – a far sorridere qualcuno.

Una premessa, ancora, prima di venire alla spigolatura di oggi: non sono così colto da intrattenere quotidiani conversari coi classici latini, pur amando molto il latino e quel mondo; per fortuna però ho anche una cognata molto colta e professionalmente versata nella materia, che ogni tanto mi gira qualche ritaglio su cui riflettere; da questo, quanto segue. 

L’autore è Caio Plinio, detto Plinio il Giovane, avvocato, scrittore e magistrato romano del I secolo d.C.; l’opera è il suo Epistolario, dalla cui edizione Utet (in ebook) copio questa lettera (IV libro, lettera n. 25) ad un (a me) ignoto Mesio Massimo, suo amico e corrispondente.

Caio Plinio invia i suoi saluti al caro Mesio Massimo. Ti avevo scritto che c’era da temere che dalle votazioni a scrutinio segreto scaturisse qualche guaio. Le previsioni si sono realizzate. Negli ultimi comizi in alcune schede si sono trovate molte barzellette e perfino sconcezze, in una poi invece dei nomi dei candidati c’erano quelli dei loro fautori. Il senato s’infiammò di sdegno e con urla minacciose invocò la collera dell’imperatore contro chi aveva scritto in quella maniera. Il responsabile però rimase incognito e nascosto, forse era addirittura tra quelli che manifestavano il loro crucciato risentimento. Che cosa non possiamo pensare che faccia, nella sua vita di cittadino privato, colui che in un affare di tanta importanza, in un momento così serio, si diverte con pagliacciate di questo genere, che, insomma, per riassumere tutto in breve, in senato vuol fare l’impertinente, lo spiritoso, lo scanzonato? Tanta è la sfrenatezza che ingenera nelle nature abiette la ben nota baldanza dell’«E chi lo saprà?». Domanda le schede, afferra lo stilo, abbassa il capo, non teme nessuno, disprezza sé stesso. Da questa disposizione d’animo provengono questi meschini scherni che starebbero bene sul palcoscenico di un teatro. Da che parte voltarsi? Che rimedi cercare? Dovunque i mali sono più potenti dei rimedi. Ma a tutto ciò penserà chi è al disopra di noi, a cui ogni giorno procura un aggravio di veglie ed un aggravio di fatiche questa nostra impudenza, sterile e tuttavia senza ritegno. Stammi bene.

Che dire? Dopo le saghe di Quirinalia – per fortuna almeno finite bene – questa lettera di sapore… italico e contemporaneo, per lo meno mi ha fatto sorridere. Che una certa voglia di non essere seri, fin da 20 secoli fa  (e anche da prima),  fosse una caratteristica del nostro lignaggio mi era noto (si parlava di Italum acetum, per dire però, anche, che lasciava un sapore amaro in bocca); e i latini ci fondarono la loro satura (satira) e ne sopravvissero, anche bene, per molti secoli. Solo che oggi – nei suoi omotipi contemporanei, a distanza di tanto tempo e con l’incombere di tanti problemi (…e senza un impero su cui prosperare) – mi pare una triste rappresentazione della nostra maturità.

Roma, 16 febbraio 2022

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento