domenica 30 gennaio 2022

Quirinalia e seguenti

Il gattopardo rovesciato

(di Felice Celato)

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

Al termine di questa vicenda tragicomica, messa in scena dalla cachistocrazia rappresentativa per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, mi tornava in mente questa famosa frase con la quale Tancredi, il giovane nipote del principe di Salina, ha espresso quel concetto che abbiamo finito per chiamare gattopardismo

E, in un imprudente accesso di fiducia nel futuro politico italiano, mi è venuta voglia di enunciarla alla rovescio: Se vogliamo che tutto cambi, bisogna che tutto resti com’è. E così (nulla cambiando) hanno fatto i nostri rappresentanti, i Grandi Elettori dal piccolo animo, senza peraltro avere coscienza che, lasciando tutto com’è, stanno comunque certificando (anche attraverso il loro comportamento nella vicenda) l’urgenza che tutto cambi. 

Non senza gravissimi rischi di insuccesso, però, perché l’avere ancora un ottimo Presidente della Repubblica ed un ottimo Presidente del Consiglio non dà le necessarie certezze di successo. E non le dà perché non è affatto sicuro che, nel contesto auspicabilmente post-pandemico, Draghi possa restare al posto di comando per il tempo necessario a farci recuperare diversi decenni di regresso relativo; non è sicuro che le pulsioni rissose dei nostri rappresentanti trovino un valido argine nella qualità dei sommi rappresentanti del Paese; non è sicuro che l’Italia comprenda che non di soli ristori (e di debito) può vivere a lungo un Paese che si è (forse e finalmente) scoperto fragile, confuso e bisognoso dell’altrui (non eterna) solidarietà finanziaria; e che sappia, di conseguenza, modificare la sua “domanda” di politica.

Questa non sicurezza – a mio non recente parere – non deriva però solo dalla pur conclamata inadeguatezza delle nostrane dirigenze politiche, perché, in fondo, queste sono pur sempre lo specchio democratico delle nostre debolezze sociologiche e culturali. In altri termini: inevitabilmente i rappresentanti inadeguati postulano l’inadeguatezza dei rappresentati (mi sono “divertito” a coniare il concetto di cachistocrazia rappresentativa proprio per dire di questo cortocircuito democratico). Senza un loro corrispondente elettorato non ci sarebbero – se non per eccezione – rappresentanti inadeguati; e bisogna prenderne atto per mitigare le “colpe” di questi ultimi, magari facendo ancora loro credito, con incauta speranza, della capacità di modificare di conseguenza la loro “offerta” di politica.

Dunque anche se i Grandi Elettori dal piccolo animo hanno deciso che bisogna che tutto resti com’è, occorre, comunque ed assolutamenteche tutto cambi. 

Un vasto programma, direbbe De Gaulle. Ma – ed è questo l’imprudente accesso di fiducia nel futuro di cui dicevo poco fa – non impossibile perché in fondo (molto in fondo) gli Italiani proprio irrimediabilmente bacati non sono. Sono convinto, per esempio, che – prescindendo dalle modalità con cui hanno preso vita in questa recente tornata – la stragrande maggioranza dei cittadini Italiani sia contenta degli attuali presìdi istituzionali (sia Mattarella che Draghi godono di un meritato e diffuso apprezzamento largamente positivo; da notare: anche per la loro parsimonia di parole, così diversa dalla garrula vacuità del linguaggio di partiti e di media che li corteggiano con ossessiva costanza); così come sono convinto che il contesto internazionale in cui viviamo e da cui dipende il nostro futuro (piaccia o non piaccia ai cultori di orizzonti valligiani), abbia apprezzato la soluzione adottata, sia pure cogliendo la dimensione tragicomica della sua genesi; così come, infine, sono convinto della vitalità del nostri animal spirits, solo che si ritrovi la strada per lasciarli fare il loro mestiere, al riparo da ogni inclinazione statolatrica.

In questo contesto di timori e speranze, non resta che augurarci che il gattopardo rovesciato (Se vogliamo che tutto cambi, bisogna che tutto resti com’è) trovi gli Italiani (rappresentati e rappresentanti) esenti dal peccato dei siciliani del Gattopardo (il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è quello del “fare”); dei siciliani del romanzo, ovviamente.

Roma, 30 gennaio 2022

 

 

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