lunedì 20 dicembre 2021

Feste inclusive

 Ragionati auguri per “le festività

(di Felice Celato)

Pare che per essere “inclusivi” oggi sia bene esprimersi così: buone festività! Ma io che, evidentemente, non colgo a fondo questo concetto un po’ fatuo di inclusività, cercherò di distinguere (nel senso di discernere) il senso dei nostri auguri.

Dunque, anzitutto, un affettuoso Buon Natale a tutti i lettori di queste “colonnine”, siano – essi – cristiani e cattolici, come il sottoscritto augurante, o “laici” convinti (purché, perbacco!, inclusivisti): del resto la festa-madre di noi cristiani (festa dell’Incarnazione, cioè della venuta in terra del nostro Dio, uno e trino) è per sua natura inclusiva perché, in fondo, festa dell’umanità che un Dio Creatore (vero e vivo, come io penso e credo, o da noi stessi “creato”, come forse vogliono i più) riconosce meritevole, per grazia, di una Sua kenosis, di una Incarnazione del trascendente; destinataria cioè di una estrema com-passione, di una condivisione salvifica della sua natura creaturale, di una compartecipazione ai suoi destini, di una diretta rivelazione del divino espressa attraverso la  Sua coabitazione nell’esistenza degli uomini e nel mondo (et Verbum caro factum est et habitavit in nobis). 

Del resto, etsi Deus non daretur, se anche Dio non esistesse e fosse solo il frutto delle nostre angosce, come si potrebbe non apprezzare comunque che, chi in Lui crede, Lo proclama così vicino all’uomo dal volerne assumere le parti e la natura, per parlargli più da vicino e più da vicino rivelargli la sua dignità di creatura amatissima (ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo), la sua dignità di destinatario della Parola di Dio? 

Ma, si Deus est, quali parole potrebbero esprimere compiutamente la tenerezza del Suo disegno, sull’uomo e sui suoi destini? Io – fidelis senza mio merito – non saprei trovarle; solo sono certo di poterle sentire ponendomi, con apertura allo Spirito Santo (lumen cordium), davanti all’ingenua rappresentazione del presepio. 

Dunque, credo, davanti ad essa possiamo entrambi (fideles o laici “impenitenti”) sentirci almeno accomunati (cioè inclusi) nell’altissima dignità della nostra umanità che il Natale propone a ciascuno, credente o non credente, per mezzo di un bambino – sia esso il segno di un mito o di un vero Dio fattosi uomo – che chiede di essere accolto fra noi, di essere uno di noi. Di qui, l’augurio (inclusivissimo!), di avere costantemente presenti, TUTTI e FINO IN FONDO, almeno le responsabilità di questa dignità.

Veniamo allora alla seconda (e più problematica) parte delle imminenti festività: la fine dell’anno e l’inizio del nuovo: si direbbe la parte più laicamente festosa… delle festività, quella che meno presta il fianco al sospetto di essere non-inclusiva (a meno che non si vogliano considerare non-inclusivi, perché alcolici, i calici che inevitabilmente porteremo alle nostre labbra nel colmo della festa!). In fondo, quest’anno, come il precedente del resto, lascia poco spazio per il rimpianto di sé; e tutti, chi più chi meno, non abbiamo altro desiderio che vederlo chiudersi alle nostre spalle, con tutto il suo carico di dolori e di nuove ansie. Anche quest’anno tocchiamo con mano, però, quanto siamo venuti dicendo, da ultimo giusto un anno fa: ogni tempo che si chiude (sul calendario) trascina con sé, verso il futuro, il groviglio di conseguenze del recente vissuto, conseguenze che possono anche mutare il giudizio che diamo sul nostro passato e farci apprezzare come bene sopravvenuto ciò che ci era apparso solo come male; e viceversa. Dunque, ancora una volta, sarà il prossimo anno a dirci qualcosa di più dell’anno passato; occorre perciò una buona dose di ottimismo per poter credere che – pandemia a parte – abbiamo avuto, in fondo, un buon 2021. Di certo abbiamo avuto un anno di trepidazione, per le nostre condizioni di grave debolezza strutturale, per le possibilità che la solidarietà europea ci ha offerto, per la decisività delle occasioni che sembra mettere davanti a noi e che abbiamo forse intravvisto – stavolta –  con chiarezza, ma che dobbiamo ancora concretare nell’anno e negli anni che vengono, (ahinoi!) con coerenza di comportamenti, con spirito di sacrificio e con coraggio.

Al di sotto di questa “scossa” (che abbiamo subìto con indubbia volontà di reazione) leggiamo però, chiari, i sintomi di una perdurante sconnessione dei linguaggi e delle ottiche, delle aspettative e dei proclami su di esse; i sintomi di un insuperato sfarinamento dei livelli di coesione socio-politica, di un acquietamento del pensiero del nostro sistema  (copyright Censis 2021) che non può non tenere in apprensione. Personalmente ho difficoltà a credere che il 2022 veda la rimozione di questi gravami sociologici e culturali che impastoiano il nostro procedere; gravami che mi paiono, purtroppo, di radice compatta e di lunga deriva. 

Ma, nonostante tutto, il Natale ci impegna alla speranza; e perciò – inclusivo o non-inclusivo che possa apparire – continuo ad augurare a tutti e a ciascuno di assorbirne il senso, portandolo seco nel corso dell’anno 2022 che ci attende carico di possibilità.

Roma 20 dicembre 2021

 

 

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