domenica 7 novembre 2021

Segnalazione

Il campo di battaglia

(di Felice Celato)

Devo al bel libro di Maurizio Molinari (Il campo di battaglia – Perché il grande gioco passa per l’Italia, La Nave di Teseo, 2021) la razionalizzazione di un’intuizione che da qualche tempo mi balugina fra la testa e lo stomaco, quando, ogni mattina, scorro alcuni giornali per seguire – non senza affanno – le vicende politiche del nostro …strano paese. Con l’occhio e l’ampia visione che lo caratterizzano, l’autore delinea ed argomenta le ragioni per cui l’Italia si trova, dopo tanti anni di insignificanza internazionale, a vivere un’ambigua stagione di protagonismo. Le circostanze politiche (e la premiership di Mario Draghi è la più importante di queste) attribuiscono all’Italia un ruolo decisivo (l’epicentro di contese strategiche e rivalità economiche di vasta portata)ponendoci di fronte ad un bivio: il nostro Paese – scrive Molinari nell’introduzione al denso volume –  può guadagnarsi sul campo il ruolo di leadership, in Europa e in Occidente, nella sfida contro populismo, autocrazie e terrorismo oppure può far prevalere l'egoismo, richiudendosi in se stesso, facendo compromessi al ribasso con gli avversari interni ed esterni. Nel primo caso, coglieremo l'opportunità di essere protagonisti dei nuovi equilibri globali del secolo appena cominciato, nel secondo invece saremo destinati a sacrificare i nostri interessi nazionali a un futuro insulare, da spettatori passivi delle altrui mosse in Europa, Africa e nel Mediterraneo.

Non è il caso di provare qui a sintetizzare il vasto argomentare di Maurizio Molinari nei sette capitoli in cui sviluppa le sue tesi (dal crocevia della ricostruzione europea, al bilico del populismo, agli equilibri politici del Mediterraneo, alle connesse problematiche dell’immigrazione, al multilateralismo internazionale, etc); vorrei invece soffermarmi su uno di essi, quello sul quale: (a) più intensamente si appunta, a mio avviso, la bipolarità della partita che l’Italia è chiamata giuocare, senza – secondo me – averne diffusa percezione politica; (b) più diretta e “nazionale” è la responsabilità del successo cui l’Italia è chiamata e che l’Europa si attende, anche per sé stessa come “patria comune” (il motivo è – scrive Molinari – che l'Italia riceve la fetta maggiore dei fondi stanziati – 208 su 750 miliardi –  e senza il successo della sua ricostruzione sarà l'intera Unione europea a uscirne indebolita, sul fronte non solo finanziario ma anche di credibilità politica… Il rilancio dell'economia nazionale è la spina dorsale della ricostruzione. I 208 miliardi del Recovery Fund europeo sono le risorse a cui il governo ha iniziato ad attingere con una raffica di progetti, ma affinché questo strumento funzioni dovrà riuscire a traghettare il paese nella modernità ovvero: più infrastrutture per il territorio, più innovazione nelle imprese, più connettività per i cittadini. Per riuscire non basta volerlo, bisogna avere il coraggio di osare nell'identificare e aggredire ostacoli antichi ma ancora immanenti come burocrazia, corruzione, nepotismo e carenza di responsabilità.)

L’Italia – queste sono, naturalmente, le mie opinioni e la fonte delle mie maggiori preoccupazioni – ha una compagine di governo (ed una leadership personale del suo Presidente del Consiglio) più che adeguate alle ambizioni che è forzata ad avere; ma, a dispetto di ciò, ha anche una compagine parlamentare (e persino una composizione politica della coalizione al Governo) decisamente mediocre nell’orizzonte delle sue visioni e contraddittoria nelle sue più profonde determinazioni (il paradosso che Molinari sottolinea sta tutto in un Parlamento in gran parte anti-europeista che sostiene il premier più europeista di sempre). E forse – aggiungo io – lo stesso sottostante tessuto socio-politico del Paese non sembra preparato a sostenere le responsabilità di questa straordinaria contingenza. In fondo – basta leggere le cronache politiche per rendersene conto – in molti, nel Paese, nel Parlamento e (persino) nelle forze di Governo, guardano al presente come l’irripetibile momento per accedere ad una cornucopia di bonus, sostegni, facilitazioni, rinvii di tassazione, assunzioni statali massicce, rinvii di adeguamenti urgenti, pensionamenti precoci, etc.,  senza che nessuno debba preoccuparsi, né ora né in futuro, del “conto” netto da pagare.

Bene (per così dire): non è un caso che Molinari abbia intitolato il suo saggio Il campo di battaglia, pensando allo straordinario crocevia di occasioni e di interessi che l’Italia, per una serie di motivi e circostanze, si trova a costituire. Temo però che la prima – e più decisiva – vittoria da conseguire su questo campo sia quella su noi stessi; e per questo la vedo difficile (ancorché – ovviamente – non impossibile).

Roma, 7 novembre 2021 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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