martedì 9 novembre 2021

Segnalazione "ottimista"

Il capitalismo buono

(di Felice Celato)

Su queste “colonne” l’ottimismo – specie in giorni piovosi – richiede coltivazioni attente (e forse anche qualche riga in eccesso per celebrare!), anche se, in fondo, come ci siamo già detti, ottimismo e pessimismo non sono altro che nomi inventati per esorcizzare la nostra insuperabile ignoranza del futuro. 

Però il libro che voglio segnalare oggi ai miei lettori (di Stefano Cingolani: Il capitalismo buono, Luiss University Press, 2020) indubbiamente palpita di ottimismo; un ottimismo poi – e questo lo rende ai miei occhi più prezioso – che “ideologicamente” viene da assai lontano, come documenta l’autore stesso, quando – al capitolo 10 – racconta delle lezioni apprese nel corso di un viaggio alla ricerca dell’Homo sovieticus nel “profondo” Nord della Siberia e a Tashkent (Uzbekistan) dove aveva sede una “fabbrica-modello” di macchine agricole (si era nel lontano 1977, l’autore era un giovane redattore dell’ Unità, il quotidiano del PCI, fondato da Antonio Gramsci, e, presumibilmente, il viaggio era anche autorizzato dal KGB!): la prima lezione riguarda l'Homo sovieticus, compresso in una gabbia soffocante e nello stesso tempo sgangherata; era come tutti gli altri uomini solo che viveva peggio dell'uomo occidentale. La seconda è che il comunismo non poteva funzionare perché aveva preteso di abolire il mercato e la proprietà privata affidando la regolazione sociale dello Stato allo stato guidato dal partito unico.

A distanza di quasi cinquant’anni da quel viaggio a Damasco, con tanta storia e tanta acqua passata sotto i ponti, con molte e importanti esperienze professionali accumulate (Cingolani è stato corrispondente del Corriere della sera da New York e da Parigi; oggi scrive su Il Foglio e su Linkiesta), l’autore sviluppa ed argomenta con molta passione i due concetti centrali del suo libro. Il primo: c’è davvero un’alternativa [alla globalizzazione]? Con ogni probabilità – si risponde Cingolani – no: digitale, finanza, energia, mobilità, salute, clima e riequilibrio delle risorse sono solo alcuni dei temi per loro natura globali e altrettanto cruciali nelle nostre vite; anzi, per certi aspetti, la pandemia ha dimostrato che il problema non è nato dalla troppa globalizzazione, ma dalla poca o, se vogliamo, parziale globalizzazione. E Giuseppe De Rita, che scrive un’affezionata prefazione al saggio di Cingolani, gli fa eco parlando di irrinunciabilità del grande fiume della globalizzazione (…un fiume potente e gonfio di energia, che ha invaso tutto il mondo e tutte le nostre vite, ….e che impone un adattamento continuo anche se non pienamente convinto. Si potrebbe definirla una “forza della natura” se non ci fosse in essa una grande quantità di tecnologia e di complessità organizzativa). Prende corpo così – sia nell’autore che nel prefatore – la sottolineatura della dimensione orizzontale di queste dinamiche profonde, in movimento continuo verso nuove filiere di creazione del valore basate su reti di cooperazione internazionale che valorizzino gli scambi fra diversi sistemi. Il secondo concetto: la natura proteiforme del capitalismo (il capitalismo è il moderno Proteo, l'unico sistema economico-sociale la cui sostanza è nel suo continuo mutamento) che gli consente di mutare pelle via via che le sue stesse crisi (vere o apparenti che siano) ne suggeriscono l’adattamento: Oggi la rivoluzione digitale propone un nuovo modo di lavorare e la pandemia lo ha reso addirittura indispensabile. E’ il mercato ….a generare le forze del cambiamento, quell'equilibrio mobile che lo rende propulsivo. Lo Stato può aiutare oppure ostacolare, ma non generare il nuovo, per sua stessa natura tende a proteggere e a conservare

Si fa strada così – conclude Cingolani riprendendo insieme i due concetti di cui sopra –, anche sulla spinta della crisi mondiale generata dalla pandemia, il cosiddetto “capitalismo buono” (digitale, verde e responsabile), sul paradigma generativo delle due P: purpose & profit … mentre tra le macerie della crisi più grave della storia moderna ….si affermano già nuovi bisogni e nuove priorità per le quali non esistono ricette nazionali o locali, che dir si voglia. 

Come dicevo all’inizio, questo saggio (scritto verso la metà dell’anno scorso), è un saggio “ottimista” (non a caso l’autore sottotitola il suo libro con una affermazione – Perché il mercato ci salverà – che, agli occhi maliziosi dei miei lettori, sembrerà arbitrariamente aggiunta da me). Ma l’ottimismo di Cingolani non ha nulla di ciò che Scruton definirebbe l’ottimismo irresponsabile; anzi è impregnato di realismo e di cautela (tutta la vita è risolvere problemi, non saremo mai padroni fino in fondo del nostro destino, avanziamo sempre verso l'ignoto e l'imprevisto); ma anche di tensione civile: La lotta tra la luce e le tenebre, l'ordine e il caos, mai finirà, tuttavia il treno per Armageddon non è ancora partito: sta a noi che finisca su un binario morto.

Roma  9 novembre 2021

 

 

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