martedì 20 luglio 2021

Pensieri di un anziano

La pausa della pausa

(di Felice Celato)


Dopo oltre tre mesi di pausa, questo sito di conversazioni asincrone un po' mi manca; e, senza promettere a me stesso un altro “decennio” di esse (dopo quello che finiva appunto il 16 aprile scorso), oggi faccio un misero bilancio di questa pausa e una (provvisoria?) incursione nelle attenzioni di coloro che mi corrispondevano (per dirla alla Ungaretti) e che, fortemente, spero seguitino a corrispondermi.

E’ stata (ed è) una pausa salutare, perché – lo vedo da solo senza che me lo facciano notare i miei amici più cari – in fondo non avrei altro da dire che il mio sconforto (senile?) per molto di quanto mi vedo dattorno: mi pare che, non ostante il nostro paese abbia da poco ripreso a darsi un governo degno di questo nome per tempi difficili come questi, il sostrato di fatuità, incoscienza e pusillanimità che costituisce lo sfondo del nostro “sentimento” collettivo resti ancora troppo solido per nutrire soverchie speranze di una (necessaria) palingenesi. Il “dibattito politico” seguita a nutrire “le pubbliche opinioni” di slogan vacui e perniciosi o di illusioni, sicuramente foriere di guai. Ne faccio qualche esempio: il dibattito sull’”immodificabile” progetto di legge Zan (e chi se ne frega della qualità del testo che si approva!); la riforma della giustizia – ce lo doveva “chiedere l’Europa” di prendere atto che in un paese dove non funziona la giustizia non può funzionare né l’economia né la vita civile? – fa riemergere le mucillagini del non-pensiero (c’è stato pure chi, drammaticamente a corto di idee, ha coniato per sé la nuova etichetta di “antiimpunitista”); la garrula incoscienza con cui tutti plaudiamo alla rivoluzione verde (si badi bene: necessaria ed urgente, anzi urgentissima!) senza porci il problema dei costi di transizione, che continuiamo ad affidare, nelle nostre fervide “menti”, all’intervento di San Patrizio (titolare del noto “pozzo” Orvietano, divenuto -ahinoi!- l’ eponimo del debito di stato), come distorcendo in favore di telecamera il senso della iscrizione sulla moneta che ne celebrava l’ingegnosa realizzazione (ut popolus bibat); la corale invocazione di assunzioni (anzi, di “assunzioni facili”) in ogni ganglio della macchina statale, come rimedio alla generalizzata inefficienza della macchina stessa (e forse come succedaneo perenne di ogni stimolo a creare nuove occasioni di lavoro e di efficientamento produttivo; detto in altre parole: a lavorare di più e meglio); la frana di ogni tentativo di affrontare temi decisivi ma “divisivi” (primo fra tutti l’immigrazione) a vantaggio di quelli evidentemente classificati “unificanti” (come si constata ogni giorno leggendo i giornali); la belluina contrapposizione fra vaccinisti e anti-vax (diventati persino oscuro simbolo di libertà, anche presso gli statolatri  che della libertà non hanno mai fatto la loro bandiera) o fra fautori del green-pass e fautori della libertà di pizzeria (no al green-pass se mette in questione l’illimitato accesso alla capricciosa!).

Bene, per così dire: potevo sfogarmi ogni giorno su temi come questi che suggerirebbero solo cupo silenzio (e preghiera, per chi vi è avvezzo o ne sente un nuovo bisogno)? No, il silenzio mi è parso salutare (e la preghiera doverosa); e tale continuo a considerarlo, non ostante la nostalgia per le nostre chiacchierate. Ma, per consolarmi (e forse consolarvi) con una (lontana) prospettiva palingenetica, voglio lasciarvi con questo passo che traggo da un libro del premio Nobel per la letteratura Kazuo Ishiguro (Quando eravamo orfani, Einaudi, 2017) e che riporto per intero (si tratta di un colloquio fra due bambini, narrato appunto da uno di essi ormai adulto): poi si mise a sedere e mi indicò una delle persiane avvolgibili in quel momento abbassata a metà su una finestra. Noi bambini, mi disse, eravamo come lo spago che tiene unite le lamelle della persiana. Glielo aveva detto tempo prima un Monaco giapponese. Spesso non ce ne accorgevamo, ma eravamo noi a tenere insieme non solo la famiglia, ma il mondo intero. Se non facevamo la nostra parte, le lamelle sarebbero finite a terra tutte sparpagliate.

Speriamo che i nostri nipoti facciano la loro parte. Ormai non ci resta che sperare su di loro! Magari, noi, facciamoli studiare!

Roma 20 luglio 2021 (Sant’Elia, profeta e taumaturgo)

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