domenica 14 luglio 2013

Un verbo di uso comune

Chinarsi
(di Felice Celato)

D’estate rinfrescano, d’inverno riscaldano; nel senso che non ti lasciano mai come ti hanno trovato, le omelie di p. Ottavio De Bertolis (al Gesù di Roma, alle 10).
Oggi sono tornato a casa con una riflessione su un verbo d’uso comune, quotidiano, quasi banale, ma dalle insondate risonanze religiose ed etiche: il verbo è chinarsi; (riflessione che –è chiaro– solo muove, direi liberamente, da ciò che ho sentito e che non provo, qui, a riassumere, per motivi ovvii di luogo e di opportunità).
Ci si china, fisicamente, per raccogliere qualcosa, per passare sotto qualcosa più basso di noi, per mostrare reverenza o sommo riguardo verso qualcuno, sia che questo qualcuno meriti o non meriti la nostra reverenza, ci si china persino per allacciarsi i sandali, etc; ma ci si china anche, simbolicamente ed in ambito religioso, di fronte ai “misteri” della fede, di fronte alla misericordia divina, alla sovrabbondanza della grazia, di fronte alla Sua parola, di fronte alla semplicità e all’ardua completezza della Sua legge (“amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il tuo prossimo come te stesso”); ci si china, stavolta anche fisicamente, in chiesa, al momento della consacrazione come pure per ricevere la “benedizione solenne”.
Dunque, in generale, nell’accezione metaforico/religiosa del verbo chinarsi, ci si china di fronte a Dio, nelle sue manifestazioni misteriose (la latens Deitas del famoso inno di San Tommaso) e nelle sue “prescrizioni” semplici e difficili ad un tempo.
Fin qui, starei per dire, tutto facile, anche per il pio credente, che, in fondo, si inchina facilmente.
Il difficile e – come insegna la pericope di oggi — l’ essenziale sta nel chinarsi sugli altri, come appunto fa il buon Samaritano della parabola, il “laico” che da Gerusalemme scende verso Gerico.
Chinarsi sugli immigrati, sui maltrattati, sugli emarginati, sui più deboli, sugli altri in generale quando hanno bisogno di attenzione, di com-passione, di aiuto sia materiale che spirituale.
Bene: il verbo chinarsi racchiude, fra gli altri, tutti questi significati, mi pare di poter dire plastici. In tale plasticità sono racchiusi valori religiosi ed etici di importanza cruciale non solo per il credente ma anche per il laico.
Forse il verbo chinarsi (sugli altri) merita una centralità nella nostra vita, credenti o laici che siamo, una centralità che sfugge all’uso quotidiano e banale che di questo verbo siamo soliti fare; un'espressione, chinarsi sugli altri, da ricordare, tutti i giorni.
Roma 14 luglio 2013


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