Chinarsi
(di
Felice Celato)
D’estate
rinfrescano, d’inverno riscaldano; nel senso che non ti lasciano mai come ti
hanno trovato, le omelie di p. Ottavio De Bertolis (al Gesù di Roma, alle 10).
Oggi
sono tornato a casa con una riflessione su un verbo d’uso comune, quotidiano,
quasi banale, ma dalle insondate risonanze religiose ed etiche: il verbo è chinarsi; (riflessione che –è chiaro–
solo muove, direi liberamente, da ciò che ho sentito e che non provo, qui, a
riassumere, per motivi ovvii di luogo e di opportunità).
Ci
si china, fisicamente, per raccogliere qualcosa, per passare sotto qualcosa più
basso di noi, per mostrare reverenza o sommo riguardo verso qualcuno, sia che
questo qualcuno meriti o non meriti la nostra reverenza, ci si china persino
per allacciarsi i sandali, etc; ma ci si china anche, simbolicamente ed in
ambito religioso, di fronte ai “misteri” della fede, di fronte alla
misericordia divina, alla sovrabbondanza della grazia, di fronte alla Sua
parola, di fronte alla semplicità e all’ardua completezza della Sua legge (“amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente
e il tuo prossimo come te stesso”); ci si china, stavolta anche
fisicamente, in chiesa, al momento della consacrazione come pure per ricevere
la “benedizione solenne”.
Dunque,
in generale, nell’accezione metaforico/religiosa del verbo chinarsi, ci si china di fronte a Dio, nelle sue manifestazioni
misteriose (la latens Deitas del
famoso inno di San Tommaso) e nelle sue “prescrizioni” semplici e difficili ad
un tempo.
Fin
qui, starei per dire, tutto facile, anche per il pio credente, che, in fondo,
si inchina facilmente.
Il
difficile e – come insegna la pericope di oggi — l’ essenziale sta nel chinarsi sugli altri, come
appunto fa il buon Samaritano della parabola, il “laico” che da Gerusalemme
scende verso Gerico.
Chinarsi
sugli immigrati, sui maltrattati, sugli emarginati, sui più deboli, sugli altri
in generale quando hanno bisogno di attenzione, di com-passione, di aiuto sia
materiale che spirituale.
Bene:
il verbo chinarsi racchiude, fra gli altri, tutti
questi significati, mi pare di poter dire plastici. In tale plasticità sono
racchiusi valori religiosi ed etici di importanza cruciale non solo per il
credente ma anche per il laico.
Forse
il verbo chinarsi (sugli altri) merita una
centralità nella nostra vita, credenti o laici che siamo, una centralità che
sfugge all’uso quotidiano e banale che di questo verbo siamo soliti fare; un'espressione, chinarsi sugli altri, da ricordare, tutti i giorni.
Roma
14 luglio 2013
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