lunedì 23 gennaio 2012

Gorgoglii

La politica e i tempi

(di Felice Celato)
Guardando a quello che mi sembra essere il clima del Paese, mi viene in mente la parola gorgoglìo nei suoi molteplici sensi: dal rumore discontinuo e sommesso di un liquido che scorre fra ostacoli e fuoriesce da uno stretto passaggio, al liquido in ebollizione, al brontolare degli intestini per meteorismo.
Scorre, apparentemente, la vita del Paese fra strette aperture e sobbolle di rancori e proteste, brontola nei suoi intestini scossi da osceni movimenti: i più sembrano guardare con rassegnazione agli ostacoli stretti da superare ma qua e là erompono proteste confuse (benzinai, tassisti, autotrasportatori,etc; alcune più delle altre -i forconi di Sicilia- da guardare senza sottovalutazioni superficiali, come ben scrive Cazzullo,sul Corriere della sera di ieri) e altrove si sparano violente assurdità (“governo infame”) o clamorose stupidaggini.
I partiti ed i sindacati, alla ricerca di un nuovo ubi consistam, appaiono confusi, talora pietosamente ridicoli: ora tutti sembrano volere una maggiore concorrenza, dopo aver governato per anni sotto la bandiera delle liberalizzazioni e realizzato nessuna liberalizzazione, o avere sempre deprecato i mercati: così, persino Vendola invoca maggior “liberalizzazione” delle banche (ma, domando, intendendomene un po’: c’è poca concorrenza – sì, l’odiata concorrenza! – fra le banche? O che altro si intende per “liberalizzazioni”? l’imposizione di prezzi controllati? o addirittura di affidamenti sorvegliati dai prefetti come sembrerebbe invocare nientemeno che l’ex ministro Sacconi?); altri seguitano a conclamare“meno tasse e maggior taglio alla spesa” (ma, domando: sanno quanta componente di stipendi c’è nelle spesa che si vorrebbe tagliare, quasi come se, aihmè, tanta parte di questa spesa non fosse un occulto welfare che ci siamo concessi per troppi anni?); altri evocano, con tragica metafora, “stacchi di spina” al governo che ha fatto qualcosa (poco? Forse ancora si, ma certamente più assai di quanto ha fatto il governo Berlusconi in tanti anni di non immacolata occupazione delle “stanze dei bottoni”); altri, infine (?), vagheggiano strambi interventi durante l’iter parlamentare dei decreti o indugiano sui loro “mantra” di sempre (“concertazione”, etc), come se nulla sia passato. Intanto, però, votano a grande maggioranza a favore di questo governo, del quale rimarcano, con ansia patetica di sentirsi vivi, i limiti di peso parlamentare o le presunte “timidezze”.


Non mi è chiaro quale sarà l’esito di questo intenso gorgogliare.
Da sempre, però, temo le pance; tanto più le temo quanto rifletto sulle componenti esogene (mondo, mercati, Europa) dei nostri problemi; componenti che spesso sfuggono alla capacità di comprensione di chi governa le pance, o per radicato provincialismo o per astuta finta ignoranza.


Non so perché – o meglio: non voglio pensare perché – mi viene in mente quello straordinario capolavoro di Aharon Appelfeld ( Badenheim 1939, Guanda editore) nel quale si descrive la caparbia capacità degli uomini di resistere alle più inquietanti premonizioni, di proteggersi dal male attraverso uno spaesamento nevrotico per esorcizzare la piena coscienza del presente: così, il dottor Pappenheim (uno dei protagonisti del libro), che non vuole capire (siamo nel 1939) che insieme ad altri ebrei sta per essere deportato verso lo sterminio, salendo sulla lurida tradotta che li preleva dalla festosa località di villeggiatura (Baddenheim, in Austria) rassicura gli altri ignari passeggeri: “Se i vagoni sono così sporchi, significa che non si andrà lontano”.

23 gennaio 2012

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