mercoledì 19 ottobre 2011

Tragiche pesature

Shalit

(di Felice Celato)

Volevo evitare di soffermarmi a riflettere sullo scambio fra il caporale Shalit e 1000 prigionieri palestinesi: in fondo l’amore per la vita del popolo ebraico non mi pareva meritare perplessità nè considerazioni di carattere morale sulla “equità” di queste tragiche pesature.


Ma francamente il coro di considerazioni “politically correct” circa la vittoria di entrambi i fronti “negoziali” mi ha (rapidamente) irritato e tolto la voglia di sottrarmi alla solita accusa di faziose visioni filo israeliane.


Certo, se il frutto dello scambio sarà un frutto di pace, ben venga qualsiasi scambio, anche il più scellerato. Ma purtroppo credo che così non sarà (come al solito e più del solito, spero di sbagliarmi, ma temo di vedere con chiarezza).


Lo scambio fra Shalit e i 1000 prigionieri palestinesi nasce sotto l’ombra di una profonda amarezza che pervade l’intera società israeliana, al di là di qualche (magari assennata) considerazione politica e della naturale, grande felicità per il ritorno a casa del giovane caporale dell’IDF: per rendersene conto, basta scorrere i commenti che nel libero paese di Israele, come in qualsiasi altra democrazia occidentale, ciascun lettore può scrivere sulle edizioni in inglese dei giornali locali diffuse via internet.


Shalit poteva essere ben considerato dai suoi “rapitori” politicamente colpevole (di essere Israeliano e di combattere per il suo paese); ma certamente doveva esser considerato personalmente innocente (come lo è qualunque soldato che adempie al suo dovere, senza macchiarsi di colpe personali); i 1000 palestinesi, di converso, potevano ben essere considerati politicamente coplevoli dai loro carcerieri ma altrettanto dovevano ben essere considerati personalmente colpevoli, in gran parte di atti di terrorismo perpetrati per scelta personale. E dunque, lo scambio non avrebbe mai potuto essere alla pari anche se fosse stato effettuato uno contro uno.


Invece lo scambio è stato fatto uno contro mille: il caporale Gilad Shalit, per i Palestinesi, vale un millesimo di un terrorista, peggio di un  innocente (possibilmente ebreo) che valeva un decimo di un soldato nazista (Roma, Fosse Ardeatine).


Queste tragiche disequivalenze di vite ( e di morti) non hanno mai portato alla diminuzione dell’odio e temo che non la porteranno nemmeno fra Israeliani e Palestinesi (i precedenti sono molto negativi; i servizi israeliani calcolano che il 60% dei prigionieri liberati torna ad attività terroristiche); fra l’altro la mediazione dei Fratelli Mussulmani d’Egitto, appare foriera di altre inquietudini che non è il caso di riprendere qui, anche se, forse, vale a sottrarre Hamas all’influenza ben peggiore del regime di Teheran.


Scrive Gideon Levy su Haaretrz di oggi: “la gioia in Israele per la liberazione di Shalit e quella di Gaza per il ritorno dei prigionieri Palestinesi è un breve sollievo, una specie di break commerciale che interrompe la danza di morte e disperazione che accompagna questo interminabile conflitto sanguinoso”. Speriamo che si sbagli anche lui.




19 ottobre 2011

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