Un appello a noi tutti
(di Felice Celato)
In mezzo ai terrificanti scenari che ogni giorno vediamo evocati (non sempre lucidamente) sui nostri giornali, non dovrebbe esserci spazio per un semplice appello all’igiene del linguaggio, me ne rendo conto.
L’igiene del linguaggio potrebbe apparire una futile ricetta di un medico folle che raccomandi ad un moribondo, chessò, di lavarsi accuratamente i denti, anche sul letto di morte. Ma se realizziamo che il linguaggio (non solo verbale) è il veicolo che usiamo per comunicare pensieri o sentimenti sulla nostra realtà interiore o sulla realtà esterna; e che esso finisce per trasmettere impulsi alla riflessione e all’azione anche quando a queste non è positivamente orientato; e che, quindi, esso postula (entro un certo grado) la necessità di una non equivoca corrispondenza fra significati e significanti; allora ci rendiamo conto di come l’igiene di tali impulsi è (anche) di fondamentale importanza per la convivenza civile e (anche) per la formazione di una volontà politica all’interno delle moderne democrazie (in cui, più o meno consapevoli, viviamo).
Per non divagare su un tema così vasto, mi soffermerò sul “caso” che ha determinato questo appello: i riferimenti all’Europa (qui intesa come UE). Bene (si fa per dire); fateci caso: nel linguaggio corrente (di media irresponsabili o di politici che si reputano scaltri), non c’è riferimento all’Europa che non abbia un lamentoso (e stereotipato) senso di riprovazione: l’Europa è assente, l’Europa è inconsistente, l’Europa non riesce ad elaborare una linea politica che non sia semplicemente rivolta all’interno di se stessa, per creare regole e burocrazie, l’Europa è vacuamente velleitaria, etc.etc.etc.
Sarebbe da sciocchi negare l’esistenza di alcuni di questi problemi. Del resto anche rapporti pensosi, pensati ed autorevolissimi come il recente Rapporto Draghi o il Rapporto Letta focalizzano – con spirito costruttivo, però – le molte ed importanti cose da fare per migliorare l’efficacia di questo magnifico progetto di pace e di prosperità che i nostri padri ci hanno edificato e che tanto ha giovato al nostro continente.
Però – rendiamocene conto anche noi, nei nostri linguaggi – vale anche qui un concetto che ho più volte sintetizzato con questo ovvioma: l’Europa siamo noi! Anzi, in virtù del mandato conferito ai nostri rappresentanti politici all’atto della loro elezione, l’Europa, per noi cittadini mandanti, la fanno loro che lì ci rappresentano e lì operano (o dovrebbero operare) per nostro conto e nel nostro interesse. Le volontà dell’Europa la fanno loro, le grandi realizzazioni della nostra patria Europea sono merito loro (o, più realisticamente, dei loro predecessori); e, se siamo onesti con noi stessi, lo dobbiamo riconoscere a loro merito (e non solo quando incassiamo i denari del PNRR!). Ma – teniamolo bene in mente – sono anche loro (per nostro conto) i responsabili di ciò che in Europa (se del caso) non va. Le volontà dell’Europa sono le volontà dei suoi cittadini, che i loro rappresentanti sono tenuti ad incarnare e a portare avanti, con mediazioni, compromessi e diplomazia, nel nostro piccolo Paese come nell’Europa di cui facciamo parte e che abbiamo felicemente contribuito a fondare!
Certo, devono farlo in un contesto di interessi diversi, talora divergenti (come, del resto, potrebbero esserlo, chessò, gli interessi a certe politiche nazionali dei siciliani o dei lombardi). E questo è vero quand’anche, nelle spesso non decorose campagne elettorali cui assistiamo, ammiccano – per meri istanti di miope propaganda – a scettiche volontà comunitarie, o a riserve mentali che non fanno onore né a chi le coltiva né a chi acriticamente le diffonde né a chi passivamente le ingurgita!
Se fosse saggio pesare per come appaiono le presenti torsioni geo-politiche globali, dovremmo concludere che oggi – una volta di più – non abbiamo percorribili alternative che non siano foriere di disastri, politici, economici, civili e democratici. Abbiamo una strada tracciata, imboccata e per un lungo tratto percorsa; una strada che implica sforzi, compromessi, complessità – spesso pesanti – da affrontare e da gestire; ma – ancora una volta – non abbiamo alternative che non siano di regresso, di ripiegamento, di frustrazione, di insignificanza. Tutto ciò che sapremo fare per andare avanti in Europa e per l’Europa sarà un merito dei nostri rappresentanti (e perciò nostro); tutto ciò che non sapranno o non vorranno fare sarebbe una loro (e quindi nostra) tragica responsabilità.
Roma, 20 febbraio 2025