domenica 17 novembre 2024

Vènti e rotte

Una lettura nostalgica

(di Felice Celato)

Se è vero che l’incertezza del futuro è una costante delle nostre esistenze, è anche vero però, come diceva Seneca, che ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est (nessun vento è favorevole per chi non sa verso quale porto dirigersi). E questa mi pare la condizione del nostro mondo occidentale, questa simbiosi geopolitica ed economica che, come recita l’Enciclopedia Treccani, abbraccia un'estesa area che include le nazioni più ricche e industrializzate dell'Europa e dell'America, nonché l'Australia, la Nuova Zelanda e il Giappone, e quei paesi accomunati, almeno idealmente, da determinate caratteristiche economiche e politiche: stato di diritto, liberalismo, liberismo economico, multipartitismo, tutela delle libertà fondamentali (di espressione e di associazione ecc.), sentite come l'eredità della democrazia e del pensiero razionalista sviluppatisi principalmente attraverso le vicende storico-culturali dell'Illuminismo e delle rivoluzioni americana e francese.

Ebbene, questo nostro mondo, in cui per quasi ottanta anni abbiamo vissuto senza prolungate e drammatiche scosse, sembra avvolto in una nebbia (di istanze gridate, di promesse o di minacce, di pulsioni e di irresistibili  pruriti) che non solo nasconde ogni porto ma ci induce  ad abbandonarci ad ogni vento, perché di ciascun vento cogliamo, per qualche tempo, la spinta che ci pare irresistibile. E all’interno di questo mondo, il nostro micro-cosmo Europeo (che si è fatto, come scriveva Joseph Ratzinger, attraverso la fede cristiana che porta in sé l'eredità di Israele, ma insieme accogliendo in sé il meglio dello spirito greco e romano) sembra anch’esso confuso quant’altro mai nella sua più breve storia recente; da un lato, quasi incapace di auto-riconoscersi nella meravigliosa impresa di pace e di progresso iniziata a valle della immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale; e, dall’altro, forse incapace di porre mano a quant’occorra fare per preservarne il valore.

In questo tempo così oscuro mi colpisce ogni giorno (soprattutto da noi) il contrasto fra la complessità e l’insicurezza degli scenari, da un lato, e, dall’altro, la semplificazione che sembra, da ogni parte, essere domandata alla politica e che da questa viene offerta a piene mani, attraverso slogan al posto dei ragionamenti, illusioni al posto delle realtà, semplificazioni al posto delle complessità di molti problemi, temporanee vie d’uscita al posto di soluzioni lungimiranti.

In questo mood inquieto è venuta a collocarsi una lettura in qualche modo nostalgica: di Giuseppe De Rita, Oligarca per caso (Solferino, 2024). Si tratta, in fondo, di un libro di memorie di tempi recenti, pervaso da una più che giustificata soddisfazione per il lavoro fatto, scritto da uno dei nostri grandi vecchi che ha percorso una vita a domandarsi come siamo fatti noi italiani, analizzando attentamente le morfologie delle nostre aggregazioni sociali, per coglierne i profondi significati, le insite dinamiche, i valori che esse esprimono e anche i limiti che esse manifestano. Una lettura che raccomando, soprattutto a chi, come me, …dal presente trae un flusso di nostalgie (di idee, di persone, di metodi).

La tesi cui allude il titolo è che De Rita è stato, a suo modo e con fierezza, un oligarca (in questo senso: l'oligarca ha un tessuto di potere che non dipende da un mandato verticale che cala dall'alto: quello è il gerarca, il cui potere finisce quando cade il suo dante causa. Il potere dell'oligarca sta nella capacità di tessere rapporti in linea orizzontale con quelle cento-duecento persone che in un sistema complesso possono sì regolare singole materie, ma hanno sempre bisogno di confrontarsi con gli altri). 

Da questa tessitura può nascere una felice azione politica, quando si coniuga con l’intenzionalità (cioè: con la voglia di raggiungere un obiettivo preciso agendo di conseguenza) che dovrebbe essere propria dell’agire politico (e De Rita ricorda nel libro i suoi tanti no alla politica). Ma questo è un discorso diverso che chiama in campo, non solo la tessitura di rapporti in linea orizzontale di cui l’oligarca è capace, ma soprattutto la sua capacità di aggregare il consenso, strutturato e competente, di cui l’agire politico dovrebbe nutrirsi. 

Ce ne è abbastanza, credo, per non dover giustificare la nostalgia della quale mi si è connotata la lettura del libro di De Rita.

Roma, 17 novembre 2024

 

 

martedì 5 novembre 2024

Letture di soccorso

Un discreto successo

(di Felice Celato)

Nell’appena decorso decimo mese di quest’anno così deprimente, ho praticato con discreto successo la difficile arte dell’auto-estraniamento, cioè della consapevole fuga da quanto si viene svolgendo attorno a noi, nel mondo tempestoso, nell’Europa confusa e balbettante (rectius: fra i membri dell’UE confusi e balbettanti), nell’Italia annegata in un mare di beghe, di ecolalie e di verbigerazioni spacciate per dialettica politica, di assillanti propagazioni all’insegna del semplicismo, talora irenico, talora tensivo.

E, come mi accade in casi del genere, devo il discreto successo di questo (sempre più spesso attraente) esercizio di auto-estraniamento, ad una felice coincidenza di letture impegnative ed assai interessanti, affrontata con ossessiva continuità.

Ove mai qualcuno dei miei lettori condividesse questa esigenza di fuga dal corrente, a suo beneficio provo qui ad elencare, con brevissimi cenni, alcune delle migliori “medicine” che mi sono auto-propinato, tralasciando le due o tre dell’area letteraria (che pure, però, avevo scelto, con ansia di fuga, nella produzione più recente di ben noti scrittori amanti del surrealismo metafisico, quali Haruki Murakami ed Eric Emmanuel Schmitt).

Eravamo fermi, ad inizio mese, al testo di Bernard-Henry Levy (La solitudine di Israele, di cui all’ultimo post) che però – ratione materiae et temporum – era tutt’altro che estraniante; siamo passati per Murakami e Schmitt; e siamo approdati a:

  • Felice, Flavio: Wilhelm Ropke (IBL, 2024, ebook): un saggio molto interessante, ma anche molto complesso, sul pensiero di uno studioso tedesco della corrente Ordo-liberale (cioè della difesa di un'economia fondata sulla libera concorrenza, la lotta ai monopoli, l'intervento pubblico alla sola condizione che sia conforme alla esigenza di salvaguardia del mercato come unica fonte di produzione del benessere). Noi crediamo.... scrive l'autore che per una comprensione il più possibile culturalmente onesta delle ragioni che hanno condotto il nostro paese a intraprendere alcune strade piuttosto che altre, andrebbe considerata anche l'influenza, benché per alcuni ritenuta marginale e forse proprio perché marginale, di un autore come Ropke che seppe parlare della crisi del suo tempo, ma che crediamo abbia ancora molto da dire anche sulla crisi del nostro.
  • Matteoli, Michela: La fioritura dei neuroni (Sonzogno, 2024, ebook): un breve ed interessantissimo saggio sui fondamenti cerebrali della convivenza, sui meccanismi del cervello e sulle “modalità” per preservarne nel tempo l’efficacia (capiranno da questo, i miei lettori, perché il testo mi ha così preso).
  • Busi, Giulio: Giovanni – Il discepolo che Gesu’ amava (Mondadori, 2024, ebook): il libro muove da un’ottica particolare: il Vangelo secondo Giovanni è riletto - da un non biblista ma, allo stesso tempo, profondo conoscitore della letteratura specialistica – nel faticoso itinerario spirituale ed intellettuale  del suo tormentato autore, nel corso della definitiva composizione del testo, attorno all’anno 110 e in Efeso; la figura di Giovanni non coincide con quella canonica (che identifica Giovanni Evangelista nella persona dell’apostolo Giovanni, figlio di Zebedeo) ma con quella – ben nota gli specialisti e da molti ritenuta autentica – di  un non meglio identificato Giovanni il Presbitero, apostolo anche lui (non uno dei dodici però, ma, anche lui, testimone diretto di quello che narra e, ovviamente, a conoscenza delle narrazioni sinottiche), appartenente alla casta sacerdotale di Gerusalemme, e perciò in grado di cogliere con maggiore profondità molte delle sfumature del linguaggio di Gesù e delle loro implicazioni. 
  • Ravasi, Gianfranco: Ero un blasfemo, un persecutore e un violento (Raffaello Cortina editore, 2024): una biografia a tutto tondo di San Paolo, ricostruita attraverso le sue Lettere e gli Atti degli Apostoli, un libro di grande spessore culturale, scritto da un sommo biblista, anche con grande cura del lettore; un testo eccellente che raccomando a tutti.... ancorché non ossessionati (come me) dalla voglia di distanza dalla pericolosa banalità del presente.

Roma 5 novembre 2024

 

 

 

 

 

sabato 5 ottobre 2024

7 ottobre

 Solitudine di Israele

(di Felice Celato)

In mezzo al rumore delle parole (e speriamo solo delle parole!) col quale il mondo commenterà l’anniversario del pogrom del 7 ottobre 2023, col tutto il suo carico di violenza, d’improvviso perpetrata e – per voluto converso – suscitata, mi pare saggio segnalare un denso libro di Bernard-Henry Levy (La solitudine di Israele, La Nave di Teseo, 2024) che aiuta nel desueto esercizio del riflettere con uso di memoria e di coscienza: questa guerra è una guerra atroce che gli israeliani non hanno voluto. Il loro è un nemico terribile, il cui desiderio proclamato è quello di poter mostrare non solo il maggior numero possibile di morti ebrei, ma, in quello stesso campo, il maggior numero possibile di martiri.

Nel breve corso del libro (170 piccole e nitide pagine) ho ritrovato raccolti i pensieri che la singolare, inquieta storia di Israele mi ha sempre suscitato e che – credo – non può non suscitare in chi sappia guardare ad essa con l’animo disposto a riconoscerne la bellezza, l’originalità e la forza ideale, fra le tante vicende che le hanno insidiate; e i sentimenti di chi, innamorato dell’anima ebrea, abbia saputo coglierne la tormentata sopravvivenza anche di fronte alla (perenne) minaccia esistenziale che non ha, dinnanzi a sé, che una sola scelta, la scelta irrinunciabile di continuare ad esistere.

Si tratta di un libro complesso, cólto (come è ovvio attendersi da B-H. Levy), appassionato e commovente, che va letto con calma (anche perché scritto con una prosa spesso complessa); e che va meditato giorno per giorno, mentre si dipanano nelle cronache e nei commenti le banali trappole del buonsenso (i tanti sì, ma) che sembrano orientate alla decostruzione dell’evento (il 7 ottobre), le astratte petizioni di un cessate il fuoco pur che sia, le finte saggezze del giorno dopo ( qual è il piano di uscita?) mentre Israele affronta, dicevamo poco fa, la minaccia esistenziale, seguendo con fermezza la scelta irrinunciabile di continuare ad esistere.

Particolarmente toccante mi è risultato l’ultimo capitolo (Se ti dimentico, anima ebrea), una sorta di doloroso compianto sulle tensioni  che, da sempre, nella storia ed oggi, screziano l’anima ebraica (solo di essa?): facci un vitello d'oro, chiedevano le tribù di Israele; facci un Dio che cammini davanti a noi; facci un idolo che ci dispensi tutti e ciascuno dallo sforzo di pensare…. Ma, scrive B-H. Levy, nonostante tutto, l'anima, la mente e il genio dell'ebraismo sono saldi nella tempesta. Ma dimenticateli e non sarà la mano ma il cuore di Israele a inaridirsi.

Un inno di amore dolente e problematico che poco si presta ad essere riassunto nelle poche righe di un post.

Roma 5 ottobre 2024

 

 

 

mercoledì 25 settembre 2024

RITROVIAMOCI / 2

Una lettura intonata

(di Felice Celato)

Deve esserci qualcosa, nei meccanismi della mente e dell’animo, che muove talora i nostri umori verso cambiamenti inattesi. Assai raramente, in questi anni di conversazioni asincrone, mi è capitato di tornare dalle “vacanze” agostane con un mood così disposto alla rigenerazione. Non a caso avevo intitolato il primo post settembrino Ritroviamoci, per esprimere la civile speranza di, appunto, ritrovarci per una positiva transumanza verso il domani; se non per il breve domani di noi vecchi, almeno per quello –  lungo – dei nostri nipoti, l’epitome della umana speranza nel futuro terreno, che abbiamo il dovere di non deprimere con i  fantasmi che si agitano nella nostra mente.

E dunque eccomi qui con la segnalazione di una lettura in larga misura intonata a questo nuovo umore (di Federico Rampini: Grazie, Occidente!-Tutto il bene che abbiamo fatto,Mondadori, 2024). Si tratta di un libro “a tesi”, vigoroso e molto argomentato, scritto con grande chiarezza e passione anti-conformista, frutto di una visione del mondo alimentata da vaste esperienze internazionali, e dominato dall’ansia di ricostruire un adeguato senso di cosciente autostima della civiltà occidentale, assediata da una distruttiva congerie di narrazioni che essa stessa ha generato al suo interno (ed anche esportato), come per inculcare la “certezza” che l’Occidente Europeo e Nordamericano abbia seminato solo distruzione, oppressione e sofferenze; e che, in fondo, sia la radice dell’Apocalisse che ci attende.

Certamente un recuperato senso di cosciente autostima dell’Occidente è un presupposto di per sé rigenerante (e per questo ho letto con grande piacere soprattutto la prima parte del corposo volume); ma è anche certo che esso, per radicarsi beneficamente nel nostro sentire (e nel nostro agire), implica – come argomenta Rampini – anche enormi sforzi per introiettare le conseguenze pratiche di questo rinnovato mindset. Rampini prova a tracciare una mappa dei nodi cruciali che, quand’anche rigenerato nella sua autostima, comunque l’Occidente deve affrontare, come del resto ha già avuto necessità di fare altre volte nella sua storia.

Nel perturbato mondo in cui viviamo, le pulsioni isolazioniste degli USA in materia di difesa comportano l’uscita dal “limbo” in cui per mezzo secolo abbiamo vissuto, quando era comunemente e politicamente percepito che la sicurezza dell’Europa era “assicurata” dagli USA. E ciò, nel momento in cui il fronte orientale dell’Occidente (che non è solo l’Ucraina!) tocca con mano una forte tensione contro l’Occidente stesso, (proprio concentrata sul suo lato Europeo).E il “conto” di questa uscita dal “limbo” è molto salato, sia in termini finanziari che, conseguentemente, politici.

A ciò aggiungasi che il dinamismo industriale della Cina (nei settori tecnologici) e politico-militare (nel quadrante asiatico e anche africano), accoppiato col pericoloso ed incerto esito di difese protezionistiche dell’Occidente, lascia intravvedere scenari globali difficili da padroneggiare, specie quando quei dinamismi si connotano di minacce militari, concrete o anche solo possibili.

E dunque, ancorché rassicurato da una recuperata autostima (ovviamente tuttora da consolidare sul piano culturale), l’Occidente vive ancora una sfida al suo modello (Nulla di nuovo sotto il sole. Era già successo. E ogni qualvolta il mondo ha cercato di sostituire l'Occidente con un modello alternativo, la storia è sempre finita molto male); con la pretesa di vincerla, questa sfida, perché (conclude Rampini citando Amin Maalouf) tutti quelli che combattono l'Occidente e contestano la sua supremazia, per delle buone o cattive ragioni, vanno incontro a un fallimento ancora più grave del suo.

Dunque, se volessi tentativamente sintetizzare in poche parole il senso del corposo volume, direi che gli scenari ivi delineati sono comunque estremamente ardui da districare; non nuovi, certamente, ma non, per ciò, meno difficili. E tuttavia la chiave per uscirne con successo sta anzitutto nel recupero della nostra autostima perché, scrive (forse consolatoriamente) Rampini, quand’anche sia prossimo il momento in cui dovremmo cedere il primato e la leadership ad altri, è tanto più urgente aver chiaro cosa lasciamo in eredità, di quali successi siamo stati capaci, di che cosa possiamo andare fieri. 

Per concludere la segnalazione: un libro da leggere, utile – così mi è parso – per “ritrovarsi”, almeno sulla nostra storia, ma anche per non rinserrarci sulle “glorie” di questa.

Roma 25 settembre 2024

 

 

mercoledì 4 settembre 2024

RITROVIAMOCI

“Settembre, andiamo, è tempo di migrare!”

(di Felice Celato)

Lasciata vuota la “pagina” di agosto di questi spunti per conversazioni asincrone, eccomi qua, a settembre appena iniziato, con le molte gioie familiari nel bagaglio col quale abbiamo lasciato le “vacanze” (per la prima volta, l’intera famiglia, nelle sue articolazioni tri-generazionali, ha passato qualche settimana insieme nella stessa casa, con gioia ma anche con l’animo, le curiosità e le attese ovviamente concentrate sull’ultimo arrivato, nel suo secondo mese di vita) e con diverse letture, alcune delle quali per varie ragioni consolanti (che dirò sotto, brevissimamente, nella nota LETTURE SERIE, come mero stimolo alla condivisione); con qualche pensiero alla “ripresa” autunnale, densa di spaventose incognite.

Bene; veniamo alla “ripresa” autunnale, gravida, secondo me, di alcuni passaggi di decisiva importanza per il nostro futuro. Gli scenari geopolitici permangono quanto meno inquietanti; quelli europei sembrano contagiati dall’intersezione delle faglie (cfr il post Faglie, di qualche settimana fa); quelli domestici dominati dalla passione per le solite, decettive banalizzazioni reciproche. Aspettiamo con fiducia il “rapporto” di Draghi ma con assai minor fiducia guardiamo ai possibili utilizzi che sapremo farne nell’ansia di morderci reciprocamente le code nella cagnara.

Dunque per “ritrovarci” non ci resta che cogliere il senso del verso D’Annunziano col quale abbiamo dato un titolo a questo post, con la speranza che la transumanza (cui allude il poeta) non sia una semplice migrazione stagionale di animali guidati da pastori mercenari (Giovanni, 10, 11-12).

 

LETTURE SERIE: (1) di Oscar Cullman, Dio e Cesare (AVE, 2018): un breve ma intenso saggio (uscito nel 1957) sui passaggi della Scrittura sul rapporto tra Chiesa e Stato, terra e cielo, città eterna e città terrena. Lettura altamente raccomandata, almeno agli appassionati della materia. (2) di Benedetto XVI, Con Dio non sei mai solo (BUR, 2024): una breve selezione di alcuni “discorsi” ben noti ai cultori di questo sommo maestro nella fede, ma qui raccolti dal curatore (p. Federico Lombardi) secondo un filo logico che li connette, da un lato, al magistero ecclesiale del Pontefice e, dall’altro, alla Sua straordinaria attenzione al mondo della cultura lungo il crinale del dialogo fra ragione e fede, un tema magistralmente trattato anche in vari testi teologici da BXVI. Lettura obbligatoria per chi non ricordi quei discorsi, ma raccomandata anche a coloro che vogliano tornare a meditarne la commovente grandezza. (3) di Enrico Letta, Molto più di un mercato – Viaggio nella nuova Europa (il Mulino, 2024): al di là dei meriti di contenuto (una piccola, ragionata storia personale del percorso culturale che ha portato l’autore verso la redazione del Rapporto sul futuro del Mercato Unico Europeo, commissionatogli dal Consiglio UE e dalla Commissione), di questo libro colpisce il tratto competente, ragionante, concreto e lungimirante delle considerazioni di Enrico Letta; non certamente perché gli sia culturalmente estraneo, bensì per la sua palpabile rarità, nel contesto politico Italiano. Una lettura che raccomando a chi è in cerca di consolazioni dalla dilagante depressione del “pensiero” politico dei nostri tempi. (4) infine, un libro per ragazzi ma scritto da un grande storico contemporaneo, scomparso quest’anno: di Jacques Le Goff, L’Europa raccontata ai ragazzi (Laterza Ragazzi, 1999). Destinato, come dice lo stesso titolo, ai ragazzi (non a caso me l’ha segnalato mia moglie, professoressa di lettere in pensione) questo breve excursus sulla storia e i valori dell’Europa sarebbe molto adatto anche a certi ragazzotti più stagionati: in fondo è semplice e breve, anche con qualche bella illustrazione, alla portata anche di culture meno educate, ma molto utile per sapere, almeno qualcosa, di ciò da cui dipende il nostro futuro.  (5) le altre letture agostane di natura letteraria non le menziono perché sono state complessivamente molto deludenti dal punto di vista qualitativo (fa eccezione la rilettura di 1984, il terribile capolavoro di George Orwell, di molti anni fa ma riedito da Mondadori in ebook).

Roma, 4 settembre 2024 (Santa Rosalia, patrona di Palermo e salvatrice dalla peste)

 

mercoledì 24 luglio 2024

Critico esame di coscienza

 Il principio di realtà

(di Felice Celato)

Forse è l’avvicinarsi delle “vacanze” (ma per un vecchio ormai da tanto tempo al riparo dalle cure del mondo, e, per di più, scarso ma ostinato praticante dell’ozio golfistico, ha senso parlare di “vacanze”?); o forse la perdurante immanenza delle (accresciute) concrete cure familiari; o forse l’abbondanza del caldo e della luce (per me comunque da sempre benefica); o forse un casuale esercizio di rilettura di alcune delle mie riflessioni qui allineate nel tempo, alla luce delle intense visitazioni di questo sito rilevate in questi giorni. 

Fatto sta che oggi, ancorché come al solito confortato dalla coscienza che le mie povere sensazioni politiche siano sempre state condizionate dall’esplicita confessione della mia scarsa efficacia di elettore, sono percorso da un dubbio: nel guardare alle cose del mondo, coltivandone e segnalandone la percepita irrazionalità, non ho forse “peccato” di scarso senso della realtà? Così mi è tornata di nuovo in mente la citazione di San Tommaso: non est ratio mensura rerum sed potius e contario: cioè, non è la ragione che dà la misura delle cose ma piuttosto queste danno la misura della ragione; come dire, che le cose verificano o falsificano i nostri ragionamenti (O. De Bertolis: Il diritto nella società contemporanea, in Quaderno IVASS n.6).

Sei, dunque, un pentito delle tue geremiadi? mi sono detto [N.B.: per meglio intendere il senso di questo ambizioso riferimento al profeta Geremia, rimando al post Verso l’autunno, del 31 agosto del 2023, nel quale cercavo di illustrare il senso del pessimismo del profeta, come esposto dal domenicano francese Adrien Candiard ne La speranza non è ottimismo]. Non arrivo a pensare un pentimento tanto radicale; ma un qualche dubbio mi è venuto (e me ne scuso con coloro che, molto eventualmente, abbiano imprudentemente dato pieno credito alle mie “lagne”). Dunque: se le cose (tante!)  non vanno come a me sembrebbe quanto meno razionale che andassero, non è forse possibile che sia stata la mia ragione ad aver torto?

Possibile è possibile, naturalmente; probabile non so, né (ancora) mi rassegno a pensarlo. In questa giornata di caldo e di luce meno intensi, provo dunque (nello spazio di questo post) a non far credito alla probabilità.

Dunque, tanto per fare degli esempi, il degrado antropologico del nostro milieu, le gravi vacuità delle nostre tutt’altro che recenti politiche, il costante eccesso di percepito rispetto al reale, l’iper-comunicazione del niente, l’invasione del semplicismo come strumento di analisi, la propalazione di decettive ricette socio-economiche congiunta con il perseguito oscuramento del reale; in sintesi: la sostanza di gran parte delle mie geremiadi è tutta falsificata dalla realtà? E se sì, quale è dunque questa realtà che non ho percepito?

Cominciamo il salvataggio dell’(eventuale) salvabile: anzitutto vediamo i compagni di strada, del resto qui più volte citati (le relazioni del Censis o della Banca d’Italia, i numeri dell’Istat, gli articoli di seri osservatori indipendenti della realtà, etc): beh, non sono mai stato troppo solo! Questo me lo si riconoscerà, spero!

Allora perché le mie geremiadi  possono apparire un pessimismo falsificato dalla realtà? In fondo, bene o male, l’Italia va avanti comunque (o, forse meglio, sopravvive comunque): sarà lo scheletro contadino di cui parlava qualche anno fa il Censis? O lo stellone italico in cui molto spesso abbiamo sperato? O la tanto spesso evocata resilienza degli Italiani? O anche solo l’innegabile massiccio supporto offertoci dalla tanto deprecata Europa? Non lo so, ma mi pare certo che – grazie a Dio – siamo ancora qua (e anche in sostanziale buona salute fisica e, forse, psichica) a confrontarci col principio di realtà, come – purtroppo – facevamo financo dieci anni fa (cfr. post Ormai l’anno declina, proprio del 27 luglio 2014). Così pure mi pare certo che gran parte di quegli assunti punti forza non abbiano radice nelle politiche del nostro paese, almeno guardando ai tempi di queste geremiadi.

Roma, 24 luglio 2024

PS: Tanto per consolarmi e per invogliare a leggerlo, riprendo un cenno,  sempre di Candiard, dal libro sopra detto: Il pessimismo di Geremia ha una sola scusante: ha ragione lui.

 

 

 

 

 

 

 

martedì 23 luglio 2024

Stupidiario del caldo

Buone notizie!

(di Felice Celato)

Si dice che il caldo fa sragionare; non è vero! Almeno non sempre!

Pur facendo (almeno a Roma, sede del Governo e del Parlamento della nazione) un caldo boia, pare (il dubitativo è d’obbligo, appunto per il caldo) che non verrà sottoposto al Parlamento il disegno di legge (Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere) che, fra le altre amenità, prevedeva anche la sanzione pecuniaria da 1.000 a 5.000 € per chi facesse uso del termine “avvocata”.

Per un momento avevo temuto che – in violazione dell’articolo 19 della Costituzione sulla libertà di culto – diventasse reato recitare (come siamo soliti fare noi paolotti, cioè clericali, bigotti e baciapile, secondo la Treccani) il Salve Regina, che sarebbe diventato (severamente) punibile per il passo “Eia ergo, advocata nostra…etc”. Anche se restava comunque praticabile – bisogna riconoscerlo! –  la successiva acclamazione del Salve Regina: “illos Tuos misericordes oculos ad nos converte”, anzi caricata così anche di un significato quanto mai attuale. 

Ma, leggo dai giornali che il ddl è stato ritirato, a riprova che non è (sempre ) vero che il caldo fa sragionare. 

Meno male! 

Roma 23 luglio 2024