La speranza non è ottimismo
(di Felice Celato)
Eccomi qua, di nuovo alla tastiera dopo la lunga pausa agostana. Scorrendo a ritroso i toni delle mie passate righe d’agosto, devo dire che ho fatto bene, quest’ anno, a non dar corso al lancio di esche per le nostre conversazioni asincrone, se non altro per non aggiungere un’altra voce alle Cassandre dell’inquietudine, quest’anno particolarmente tenaci.
L’agosto, di per sé, non giova alla qualità di ciò che si sente dire o che si legge sui giornali (sarà il caldo che affatica le “menti”? qualche prosecco di troppo nelle lunghe serate della tipica mondanità vacanziera? la rilassatezza che travolge rovinosamente ogni ragionamento filato? l’amore per toni di voce che vincano il rumore della risacca?); e, per riflesso, l’agosto non fa bene all’umore di chi ne vorrebbe trarre commento o spunti per guardare avanti, insieme agli amici coi quali vale la pena di confrontarsi.
Meglio allora non scrivere; e difatti dal 25 luglio non ho “vergato” righe di sconforto, pur nella grande ricchezza degli spunti in tal senso. Le nostre convulsioni confuse e rumorose; le ventate di disprezzo vicendevole che frammentano il volto e la mente della nostra società; le propalazioni di grossolane retoriche a presa rapida; la sorte di questa guerra impantanata e gli scenari geopolitici in movimento; le elezioni europee e le scadenze ineludibili del nostro essere, ad un tempo, cittadini Europei lamentosi e rivendicativi, ma beneficiati, forse più di ogni altro, dell’Europa. Ce n’è quanto basta per essere, tutti, profondamente inquieti.
Senonché; senonché eccoti un piccolo evento (ancora) misterioso (starei per dire: provvidenziale): un ignoto ma raffinato amico mi fa avere, l’altro ieri, in forma anonima (tramite Amazon), un agile libretto di cento pagine (stampato anche con caratteri “umani”!) di un giovane Domenicano francese (Adrien Candiard, nato nel 1982) intitolato La speranza non è ottimismo – Note di fiducia per cristiani disorientati (Emi editore, 2021).
Diciamo subito che il libro non rivolge la sua attenzione alla speranza come virtù dell’individuo ma alla speranza come… virtù collettiva di una comunità (quella cristiana) che vive con angoscia la presente scristianizzazione del mondo: è vero – qui l’autore fa, fra i tanti altri, un esempio minore, amaro ma a suo modo significativo – che il cristianesimo è certamente in Europa la sola religione che nell'universo mediatico possa essere presa in giro praticamente senza rischi, e questo perché rimane, nel senso comune, l'espressione maggioritaria: ridicolizzarla è anche un po’ prendere in giro se stessi, non disprezzare gli altri; e i piccoli Voltaire dei nostri giorni, liberati dalla minaccia della Bastiglia, possono tra l'altro concedersi il dolce brivido della trasgressione senza rischi.
Di fronte a questo sradicamento della presunta promessa (del resto altre volte sconfessata dalla storia) del trionfo del cristianesimo nel mondo, Candiard si rifà al libro di Geremia che vive e racconta il travolgimento del piccolo regno di Giuda (siamo nel sesto secolo a.C.) ad opera di Babilonia (cito ancora: Ma è proprio nei giorni d'angoscia dell'assedio di Gerusalemme che, probabilmente attanagliato dalla fame, certo dell'avvicinarsi della catastrofe, incarcerato da un'aristocrazia che lo giudica pericoloso per il morale della popolazione, e minacciato di morte, Geremia si mette a scrivere cose folli. Lui che era così realista su quel vicolo cieco che era la rivolta, annuncia che Dio ricreerà tutto a partire da niente).
Ma il cristiano deve sapere che, per i destini del mondo, la Chiesa non ha nulla da offrire. In magazzino ha un unico prodotto: la salvezza, la vita eterna. Se lascio intendere che abbiamo altre cose, allora rischio di ingannare chi mi ascolta….( ecco il perché del titolo: la speranza non è ottimismo). Ma quando parlo di salvezza, quando parlo di vita eterna, non parlo della vita dopo la morte. Non solo, in ogni caso. Perché, se è eterna, per l'appunto non si trova nello svolgimento del tempo: essa è fuori del tempo o, più esattamente, è tutto il tempo…. La vita eterna comincia adesso e prosegue eternamente…. E dunque, sperare, per il cristiano (anzi: per la cristianità) è qualcosa di molto concreto: è credere che Dio ci rende capaci di porre degli atti eterni. Che, quando ci amiamo, questo amore non è semplicemente un bel sentimento in un oceano di assurdità votato alla morte, ma una finestra che apriamo sull'eternità. Perché gli atti eterni, gli atti che noi possiamo fare, i cui frutti sono eterni, sono naturalmente gli atti d'amore, i soli che contino. Sono questi che costruiscono già nel nostro mondo l'eternità, il regno di Dio… Sperare non è mentire a sé stessi o nascondere la testa sotto la sabbia. E’ credere che l'amore è più solido di tutto il resto, perché a differenza delle nostre ambizioni, delle nostre ricchezze, dei nostri conflitti, di tutto ciò che troppo spesso ci distrae dall'essenziale, l'amore ha promesse di eternità…Trasformare gli avvenimenti in opportunità di amare vuol dire riprodurre nel quotidiano il miracolo di Cana. Cambiare l'acqua della vita ordinaria in vino di vita eterna.
Conclusione: il così denso libro, di cui, con troppe parole, ho cercato di far intuire almeno il senso, va letto (e magari anche riletto), sia che si sia credenti sia che si voglia solo capire cosa propongono questi superati creduloni. E… il misterioso e colto donatore va rintracciato, almeno per ringraziarlo di avermene fatto destinatario: le indagini sono in corso.
Roma, 31 agosto 2023.
Nessun commento:
Posta un commento