Ancora un libro
(di Felice Celato)
I lettori di queste colonnine non avranno difficoltà a riconoscere che uno dei temi ricorrenti di esse (anche in tempi non sospettabili di… preoccupazioni politiche) è stato quello della cosiddetta identità italiana (o etnia italica, come forse si sarebbe tentati di dire oggi). E diverse e relativamente numerose sono state, qui, le citazioni di testi che, con diverse ottiche, hanno affrontato questo tema da un punto di vista più generale ed anche concettuale: da Amartya Sen (Identità e violenza), a Francis Fukuyama (Identità), a Ernesto Galli Della Loggia (L’identità italiana), a Giuseppe De Rita (antologicamente in Dappertutto e rasoterra), a Maurizio Bettini (Hai sbagliato foresta – Il furore dell’identità), fino a Massimo Montanari (Il mito delle origini). Proprio per questo mi ha colpito ritrovare, in un testo di tutt’altra materia (di Salvatore Rossi, Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia, Il Mulino, 2023), un concetto che allaccia l’esplorazione ragionata della foresta dei dati (il sostrato tecnico del libro) a quello di identità italiana, intesa – stavolta – come identità economica: l'identità di un popolo è un concetto relativo, sfuggente, multiforme. Tuttavia… buona parte di essa è formata dalle capacità economiche del popolo stesso, da ciò che sa fabbricare (in senso lato, anche servizi intangibili si fabbricano) a beneficio proprio e degli altri popoli a cui vende o dona ciò che sa fare. Certo, contano la lingua, le arti, la scienza, la cultura in generale. Ma è difficile che queste belle doti prosperino, dove albergano rudimentalità e miseria.
In questa prospettiva, Salvatore Rossi, come dicevo prima, disbosca la foresta dei dati, talora difficili da leggere per chi non abbia familiarità col tema, per trarre da essa le notizie che riguardano la nostra identità economica nel mondo.
Che siano prevalenti le cattive notizie è cosa ormai nota anche ai lettori non tecnici dei giornali: le particolarità negative dell’economia italiana nel confronto con altri paesi avanzati sono molte (la speciale difficoltà che l'Italia incontra da anni a far lavorare tutti i suoi cittadini; l’efficienza media della macchina produttiva non alta.. e comunque inferiore a quella di molti altri paesi avanzati; la scarsità relativa del risparmio interno; la fiducia parziale e venata di sospetto dei mercati finanziari nei confronti dello Stato italiano, quando emette titoli del debito; la composizione delle nostre esportazioni, sia quelle di servizi sia quelle di merci; il rachitismo del sistema produttivo italiano). Ma non mancano le buone notizie che, nella foresta dei dati, è più difficile leggere ma che, ciononostante, rimangono pur sempre buone notizie, non decisive ma buone notizie: nel tempo l’Italia ha saputo vendere all’estero più di quanto ha comprato (dall’estero) e perciò è diventata (sia pure in misura modesta e declinante nel tempo) creditrice netta verso l’estero, nelle varie forme (titoli, azioni, partecipazioni, crediti commerciali, prestiti e così via); inoltre il valore aggiunto dal lavoro e dall'intelligenza umana alle materie di base e a tutti i componenti comprati dall'estero è molto superiore a quanto sarebbe coerente con la sua popolazione (in altri termini: l’Italia è il 25° paese per popolazione ma raggiunge il 10° posto nella speciale classifica basata su tale valore).
Come si può intuire dal profilo tecnico di queste notizie (specie di quelle buone e meno note) anche l’identità economica del nostro Paese è problematica, non meno di quella presuntamente etnica, frutto di felici ibridazioni della storia del nostro Paese (pare che anche Leonardo avesse una madre circassa, come dicevamo nel post Letture del 25 marzo scorso!). Solo che di queste ibridazioni storiche (dai tempi dell’impero Romano fino a tutt’oggi) non siamo più responsabili, ancorché tuttora ne beneficiamo se in esse riconosciamo il filo conduttore del nostro essere fieri di come siamo; di quelle insufficienze del nostro presente (anche se solo misurate dalla nostra identità economica), invece, siamo contemporanei responsabili.
Insomma: il volumetto di Salvatore Rossi è da leggere per la chiarezza e la vastità dell’argomentare e per l’originalità dell’approccio non meno che per la vena….narrativa dell’autore che conclude il suo lavoro anche con una gradevole favola diacronica.
Roma, 19 maggio 2023