mercoledì 4 gennaio 2023

Stupi-diario del tempo

Ultimo quarto

(di Felice Celato)

Se chiedessimo ad un bambino della prima elementare di contare le ore della giornata, sicuramente il bambino comincerebbe da 1 e proseguirebbe fino a 24, soddisfatto di aver sciorinato così le prime acquisizioni dell’aritmetica e anche le prime nozioni della misurazione del tempo. E alla fine riceverebbe le meritate lodi del richiedente.

Me se il bambino avesse, per un bizzarro gioco di una natura veramente matrigna, fatto per una vita, anteriore alla sua nascita, il mio mestiere, riferendosi al tempo probabilmente comincerebbe da 0, perché ciascuna ora è fatta di una sequenza di istanti che cominciano, appunto, al tempo 0, cioè all’inizio della prima ora.

In una scherzosa e paradossale polemica con un mio amico e congiunto (di tutt’altro mestiere), proprio in queste settimane in cui cadono i nostri compleanni (molto vicini, ancorché in anni diversi!) ho sostenuto che entrambi (“compiendo” 74 anni) entriamo, nel dì del nostro compleanno, nell’ultimo quarto della nostra (auspicabilmente?) secolare esistenza; che – come tale - comincerà al compimento del 99° anno di età, per compiersi il giorno del 100°. Inutili sofismi e deformazioni professionali, diranno i miei pazienti lettori; e senz'altro avrebbero ragione.

Ma, ahimè, come dicevo poco fa, il tempo è fatto di una sequenza di istanti (istante: frazione minima del tempo, spiega la Treccani) e, a seconda dell’età, ogni istante tende ad avere un suo peso specifico (pensateci: quante sono le differenze fra un bambino appena nato e un bambino che “compie” un anno?). Ad una certa età (la mia) ogni istante tende a pesare di più, come accade proprio nei primi anni di vita. Ma non perché, nello spazio di un anno, come il bambino appena nato, acquisiamo qualcosa, chessò, una maggiore capacità comunicativa, una minima conoscenza del mondo che ci circonda, o anche semplicemente un diverso gusto per le pappe che ci somministrano. No, alla nostra età non acquisiamo più: lentamente perdiamo, invece; e forse in ogni istante. Io, per esempio, ho cominciato a perdere accettabili livelli di pazienza e, forse, anche il piacere di guardarmi attorno che avevo sempre avuto per una vita.

Già l’anno scorso, in analoga ricorrenza, avevo tentato una “esternalizzazione” dei sintomi dell’invecchiamento (che allora definivo “immateriale”, cioè dell’animo e non del corpo): forse non è il mio animo che si è invecchiato, ma  è “solo” l’ambiente che mi consuma e mi sfinisce: forse (sempre forse!) se non ci fosse tutto ciò che vedo dattorno io sarei ancora rimasto quel baldanzoso giovane uomo che ero solo 40 anni fa!

Ma, già un anno fa, avevo dei dubbi che questa “esternalizzazione” reggesse, e oggi mi vado convincendo (anche senza scomodare il sant’Agostino che citavo l’altro giorno) che non sempre (e di tutto) si può dare la colpa all’ambiente.

Forse alla radice del crescente disagio c’è proprio l’usura dei metri di giudizio, che, magari, dovrebbero via via adattarsi alla realtà, disponendoci ad accettare il fatto che il mondo cambia e noi (vecchi) non riusciamo a tenerne il passo se non modificandone la “metrica”.

Il fatto è che – almeno io – rimango tenacemente affezionato ai miei metri di giudizio e non sono disposto a barattarli con quelli ora correnti.

Cocciutaggine di un vecchietto bizzoso? Può darsi; vedremo (o, più realisticamente: chi vivrà, vedrà).

Roma, 5 gennaio 2023 

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